Questa commovente lettera, scritta da Luigi Pastore, regista, produttore e direttore dell’Italian Horror Fantasy Festival, è un tributo sentito e profondo ad Alvaro Vitali, l’icona del cinema comico italiano che ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore del pubblico. Con un tono intimo e sincero, Pastore si rivolge direttamente ad Alvaro, come a un amico caro, per ricordarne il talento, la generosità e la straordinaria capacità di far ridere, nonostante le difficoltà e l’indifferenza di un’industria cinematografica che spesso non ha saputo valorizzarlo.

La lettera non è solo un omaggio personale, ma una denuncia appassionata contro l’ipocrisia di chi, dopo la scomparsa di Vitali, ne ha celebrato il mito, dimenticandolo quando era in vita. Con riferimenti a episodi specifici, come l’aneddoto su Sergio Leone o il gesto autentico di Carlo Verdone, Pastore dipinge il ritratto di un artista completo, lontano dalla superficiale etichetta di “Pierino”, e riflette sul valore di un cinema popolare che, con semplicità e verità, ha saputo parlare a tutti.

Tra nostalgia, amarezza e speranza, Pastore promette di mantenere viva la memoria di Alvaro, celebrandone l’eredità non solo come attore, ma come uomo. Un testo che commuove e invita a riflettere sul significato dell’arte e sull’importanza di riconoscere i veri talenti, mentre sono ancora tra noi.

Lettera aD Alvaro Vitali

Caro Alvaro,

che strano scriverti ora, sapendo che questa lettera, se mai arriverà da qualche parte, sarà letta da un cielo più grande di qualsiasi palcoscenico. Eppure sento il bisogno di parlarti come se fossi ancora qui, come se ci aspettasse ancora un caffè in qualche bar romano, a parlare per ore di quel cinema che ci ha cresciuti, illusi, traditi, e a volte anche salvati.

Non ti nascondo che ho pianto tanto. Non subito, no. All’inizio c’era solo incredulità, un silenzio strano, pesante. Ma poi è arrivato quel dolore vero, quello che fa male al petto quando realizzi che non ci sarà più modo di dire: «Alvà, ho una parte che fa per te», oppure «Dai, raccontami di nuovo l’aneddoto su Sergio Leone… quando uscì indignato dal cinema alla battuta sul cannone che annuncia mezzogiorno!». Mi è mancato tutto in un colpo solo: la tua voce, il tuo sguardo furbo, la tua voglia di vivere anche quando tutto intorno sembrava crollare.

Lo sai, ho sempre lottato per te. In silenzio, senza grandi proclami. Ogni volta che parlavo con un produttore, che si facevano nomi, che si cercavano “volti iconici”, io tiravo fuori il tuo. Dicevo: «Ma perché non richiamiamo Alvaro? È unico. È un pezzo di storia. È un attore vero, mica una macchietta!». Ma sai come va in questo ambiente: tutti a parlare di “novità”, di “valori”, ma alla fine scelgono sempre lo stesso volto televisivo del momento. E tu, che meritavi un grande ritorno, sei rimasto a guardare, con dignità, con pazienza, ma anche con una certa amarezza che, a conoscerti bene, si leggeva negli occhi.

Da quando te ne sei andato, martedì scorso, ho visto un tale concentrato di ipocrisia che davvero verrebbe voglia di scriverci sopra una commedia nera. Una di quelle storie grottesche, dove tutti fingono di non conoscerti da vivo, e poi ti trasformano in un’icona sacra da morto. E tu lo sai bene, Alvaro, che quando eri tra noi in carne, ossa e risate, pochi avevano il coraggio di pronunciare il tuo nome con rispetto. Ti relegavano a “Pierino”, come se dietro quella maschera non ci fosse un attore vero, un artista completo, con una storia, una voce, un corpo comico unico nel suo genere. Ti guardavano con condiscendenza, come si guarda una vecchia foto un po’ sbiadita. Ma non ti capivano, e soprattutto non ti volevano più vedere. Perché ricordarti significava anche fare i conti con un cinema che oggi si finge colto ma spesso è solo freddo, senz’anima.

Tu facevi ridere sul serio, Alvaro. E per farlo ci voleva talento, presenza scenica, ritmo comico. La gente ti ha amato davvero, senza bisogno di premi o recensioni. Le sale erano piene, il pubblico rideva a crepapelle. E questo, amico mio, è molto più di quanto certi “attori impegnati” potranno mai dire.

E ora? Ora tutti ti celebrano. Fiumi di post, speciali in TV, gente che ti definisce “simbolo di un’epoca”. Come se l’epoca, quando c’eri davvero, fosse passata inosservata. Perfino Le Monde, in un impeto di insensibilità travestita da analisi culturale, si è permesso di scrivere un articolo su di te, offensivo, superficiale, stupido. Hanno parlato di te come si parla di una macchietta da baraccone, senza capire che per far ridere come facevi tu ci voleva precisione, tempo, arte, e soprattutto cuore.

Ancora oggi i tuoi film passano in TV e fanno ascolti: continui a strappare risate fino alle lacrime. Con una smorfia o una corsa assurda, sapevi raccontare la vita meglio di mille drammi borghesi.

Forse è proprio questa la tua rivincita: oggi tutti parlano di te, ma tu sei oltre. Hai superato la soglia con dignità, lasciando qui un mondo che, a guardarlo bene, sembra proprio una commedia da scrivere a quattro mani. Una tua battuta, e via.

Non capivano che dietro quel sorriso, dietro la maschera, c’era un uomo generoso, intelligente, pieno di voglia di fare. Ci siamo parlati tante volte, anche negli ultimi tempi, e ogni volta ci promettevamo un nuovo progetto, un nuovo inizio. Ma adesso quel tempo ci è stato rubato. E ti confesso che quando ho realizzato che non ci sarebbe più stata un’altra chiacchierata, un altro set insieme, ho pianto. Ho pianto come si piange un fratello che non si è riusciti a proteggere abbastanza.

Eppure, in mezzo a tutta questa recita collettiva, c’è stato un gesto vero. Carlo Verdone. Lui c’era. Si è “scomodato”, come si dice con rispetto, ed è venuto in chiesa a salutarti. Non per convenienza, non per immagine. Ma per affetto sincero. Perché Carlo è uno degli ultimi veri artisti del nostro cinema. Un uomo con un cuore grande e una memoria viva. È stato l’ultimo regista a volerti con sé, e ti ha voluto bene davvero. Il suo abbraccio, quel giorno, ha detto molto più di mille parole. Ti ha onorato come meriti. E per questo, permettimi, gli va riconosciuta una grandezza d’animo che nel nostro mondo è sempre più rara.

Alvaro, questa commedia nera che stiamo vivendo l’avresti raccontata alla perfezione. L’ipocrisia, il cinismo, il paradosso di chi ti dimentica quando ci sei e ti incensa quando non puoi più rispondere. Ma so che ora ridi. So che stai già prendendo appunti, magari con Fabrizi o con Sordi, per scriverne una nuova, dall’alto.

Io continuerò a parlare di te, e non solo nei giorni del lutto. Continuerò a cercarti nelle immagini, nelle battute, nei gesti. E magari un giorno, quando i tempi saranno maturi, troverò il modo di riportarti sullo schermo. Perché la tua voce, il tuo volto, la tua energia non meritano l’oblio, ma memoria viva.

Ti abbraccio forte, e ti ringrazio per tutto ciò che ci hai regalato.

Con amore, stima e una grande, grande nostalgia,

Luigi Pastore.


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