Certe canzoni non si limitano a essere ascoltate: si avvertono, si respirano. “Nel cielo di Vincent”, l’esordio di Lisa Lowerground, è una di queste. È una ballata che non cerca di gridare il dolore, ma lo sublima, trasformandolo in luce, in suono, in una carezza che rimane nell’aria anche dopo l’ultima nota.

Nel cielo di Vincent – Lisa Lowerground

Ispirata alla breve vita di Giacomo Dondi, scomparso a 23 anni, la canzone è un omaggio che evita il sentimentalismo per farsi ritratto impressionista. Le parole evocano, non descrivono; i suoni sfiorano, non afferrano. E in questo sta la sua forza.

La melodia, costruita su accordi in tonalità maggiore, ha una dolcezza trasparente: sembra quasi galleggiare, come se non volesse appesantire il ricordo, ma semplicemente accompagnarlo. C’è qualcosa di etereo e lieve, eppure concreto, in quel tappeto sonoro che si muove tra pop cantautorale e venature rock. Una struttura equilibrata, che sa cedere il passo all’emozione senza diventare fragile.

Ma è la voce di Lisa a fare davvero la differenza. Sussurrata, chiara, empatica, non interpreta: partecipa. La sua timbrica si fonde con la musica in una sintonia naturale, quasi simbiotica. Non cerca la potenza, ma la verità. E quella verità arriva, limpida, proprio nei momenti più semplici — un cambio di accordo, un respiro lasciato in sospeso, un inciso che si apre come un varco nel cielo.

Il titolo, con quel richiamo a Van Gogh, non è solo poetico, è quasi necessario. Come nel dipinto, anche in questa canzone il cielo non è più solo uno sfondo, ma diventa il luogo del passaggio, della trasformazione. Un cielo che accoglie, che custodisce, che ricorda.

“Nel cielo di Vincent” è una canzone che non ha fretta. Invita ad ascoltare in silenzio, a lasciarsi attraversare, a sentire che anche il dolore può avere un suono bello. E se questo è solo l’inizio, Lisa Lowerground ha già trovato una voce che vale la pena seguire.


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