“Capite, la lingua può nascondere la verità, mentre gli occhi mai”. Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, 1966

Sulle note di Trivial Visions dei La Morte viene dallo Spazio, tre ragazzini scappano, inseguiti da un uomo, all’interno di un fatiscente ed enorme edificio che non può non richiamare alla mente la mitica Colonia Varese di Milano Marittima, location principale del capolavoro avatiano Zeder, classe 1983. Fin da subito si intuisce, quindi, come il regista voglia, in questa pellicola, omaggiare il grande cinema, del passato, ma non solo. Lui è Vincenzo Ricchiuto, nato nel 1975 e laureato al DAMS di Bologna, allievo registico del grande Abel Ferrara, e L’Orafo, uscito nelle sale nel 2023, è il suo primo lungometraggio, dopo un lungo iter come regista di cortometraggi e videoclip, che denota l’enorme passione del cineasta per il cinema di genere, non solo italiano. Ne L’Orafo c’è un po’ di tutto, dai riferimenti più evidenti a Lucio Fulci ed M. Night Shyamalan, fino ai personaggi femminili resi celebri dall’accoppiata Robert Aldrich/Bette Davis. Girato nelle Marche, e precisamente nel paese di Cupramontana e dintorni, ed in Emilia Romagna, L’Orafo ha il grande pregio, raro al giorno d’oggi, di riuscire a sorprendere, e se a tratti ricorda Paura dei Manetti Bros del 2012, se ne distacca però per il finale folle e, se vogliamo, rivoluzionario, dell’intera operazione. Presentato in anteprima internazionale al Grimmfest di Manchester nel 2022, si è aggiudicato il premio alla Miglior Sceneggiatura.

Roberto, la compagna Arianna e l’amico Stefano, amici fin dall’infanzia, sono tre sbandati senza una famiglia alle spalle, che campano di rapine ed espedienti. Dopo una soffiata decidono di introdursi, durante la notte, nell’abitazione dove un vecchio orafo vive con la moglie, avendo saputo che lì si trova il suo laboratorio di gioielleria. Dopo aver minacciato i due anziani di ucciderli, Antonio, l’orafo, apre loro il caveau dove tiene nascosto il suo laboratorio e tutti i suoi tesori. Tuttavia i ragazzi, dopo essere entrati, non si accorgono che la pesante porta blindata si sta richiudendo alle loro spalle, imprigionandoli lì dentro. L’arrivo di una guardia giurata, che ha visto il suv dei tre parcheggiato proprio davanti alla casa, cambierà completamente la prospettiva, e l’orafo e sua moglie dimostreranno di non essere proprio due pensionati sprovveduti, come vogliono far credere.

Regista, ma anche autore del soggetto e della sceneggiatura insieme a Germano Tarricone, Ricchiuto ci regala un thriller che, nel suo incipit, occhieggia al secondo lungometraggio, già un piccolo cult, del regista uruguaiano Fede Álvarez, Man in the Dark, classe 2016. Infatti anche qui i protagonisti sono una coppia di fidanzati e un amico, che svaligiano case per poter fuggire dalla grigia realtà quotidiana, e decidono di introdursi nella villa di un anziano veterano ormai cieco della guerra del Golfo, vedendo la cosa come un gioco da ragazzi. Ovviamente così non sarà, e lo stesso si può dire della nostra coppia di vecchietti, Antonio e Giovanna, che non si dimostreranno assolutamente così sprovveduti come i tre rapinatori credono. Subito, durante l’appostamento in auto dei tre davanti alla villetta isolata dell’orafo, si respira nell’aria qualcosa di malsano, poco chiaro, un segnale di pericolo che i tre avrebbero dovuto cogliere, ma non coglieranno, ovviamente. Peccato per la fotografia in esterni che, nelle scene in notturna, è davvero troppo buia e non ci permette sempre di comprendere cosa sta avvenendo davanti ai nostri occhi. Ma tanto basta. C’è qualcosa di strano nell’aria, ed i modi dolci ed affettati della signora Giovanna sono un campanello d’allarme tanto chiaro quanto inimmaginabile nella sua vera natura.

Vincenzo Ricchiuto dimostra di conoscere i meccanismi di costruzione della suspense, svela il mistero pian pianino, atomo per atomo, tenendoci sempre sul filo del rasoio, tant’è che fino a metà del film non si capisce bene in che direzione l’opera voglia andare a parare. Poi i tre restano chiusi nel caveau blindato, una guardia suona due volte al campanello degli anziani coniugi per sapere se va tutto bene, vista la presenza di un suv sconosciuto davanti a casa loro, ma Antonio e Giovanna negano che ci sia qualcuno in casa. La guardia chiede comunque di fare un giro, e Giovanna, che dimostra di conoscerlo da tempo, gli offrirà un caffè. Ecco, qui, secondo me, la tensione arriva al suo zenit. Il gioco di sguardi, le espressioni, i movimenti dei due anziani, i sorrisi forzati, il tutto ben raccordato tecnicamente dal sapiente uso della macchina da presa e dal montaggio sincopato, concorrono a creare un tale senso di disagio da aspettarsi il peggio in ogni attimo. Nessuno è in grado di prevedere quale segreto nascondano l’orafo e sua moglie, ma che i due siano strani ed inquietanti, dopo questa scena, non ci sarà assolutamente più alcun dubbio.

Se in apertura abbiamo citato Man in the Dark, anche altri sono i riferimenti cinematografici senz’altro conosciuti da Ricchiuto. Come non pensare, per esempio, ad uno degli episodi della serie televisiva Le Case Maledette, e nello specifico La Casa nel Tempo, diretto nel 1989 dal grande Lucio Fulci? Esattamente come qui, nel film fulciano tre rapinatori decidono di svaligiare una villa abitata da una coppia di anziani, che si rivelerà ben più temibile di quanto sembri all’apparenza, sebbene l’intreccio si snodi maggiormente nel territorio dell’horror piuttosto che in quello del thriller. Inoltre, la coppia composta dai due teneri anziani Antonio e Giovanna, ricorda da vicino quella composta dai due folli “nonni” del film del 2015 The Visit, diretto da M. Night Shyamalan, che, ovviamente, nascondevano un oscuro segreto sotto i loro sorrisoni e le moine nei confronti dei nipotini.

Importanti sono i nomi che hanno collaborato con Ricchiuto a questo suo ambizioso progetto. A partire dal cast. I due protagonisti, Orafo e signora, sono infatti i due noti attori Giuseppe Pambieri e Stefania Casini. Pambieri, lombardo e formatosi alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, ha una lunghissima esperienza teatrale, ma anche al cinema si fa distinguere già dagli Anni Settanta partecipando a poliziotteschi di Michele Massimo Tarantini e Bruno Corbucci. Qui dà vita a un personaggio estremamente affascinante, folle ma lucido, offrendoci una performance che saprà modificare le nostre aspettative su di lui dal primo frame all’ultimo. Al suo fianco, nel ruolo della moglie Giovanna, l’attrice Stefania Casini, che non ha bisogno di presentazioni, ricordata da noi horrorofili soprattutto per essere stata Sarah, l’amica della protagonista Susy, in Suspiria di Dario Argento (1977), ma che vanta una lunghissima carriera diretta da nomi quali Pietro Germi, Aldo Lado, Paul Morrissey, Carlo Vanzina, Bernardo Bertolucci e Antonio Bido. Il personaggio di Giovanna è senz’altro il più interessante e riuscito dell’intera pellicola, una signora anziana che pare tenera ed indifesa ma che riesce invece a far tremare con le sue espressioni, ricordandomi alcune delle parti che Bette Davis ha interpretato nei film di Robert Aldrich, come la Jane Hudson di Che Fine ha fatto Baby Jane? (1962) e la Carlotta Hollis di Piano… Piano, Dolce Carlotta (1964). La bravura della Casini è sottolineata guardandola qui e nel nuovo film di Antonio Bido, Funerailles, girato subito dopo questo: sembra ringiovanita di 20 anni rispetto a qui, e ci offre un personaggio grottesco e surreale decisamente agli antipodi della nostra Giovanna. Tra i giovani delinquenti emerge senza dubbio Arianna, interpretata dalla bella e brava attrice siciliana Tania Bambaci. Oltre al cast, ricordiamo, nel comparto degli effetti speciali, il truccatore e scultore, designato come erede italiano di Sergio Stivaletti, Carlo Diamantini, esperto nel cosiddetto special make-up grazie all’uso di tutti i materiali plastici fino ad arrivare alla realizzazione di veri e propri animatroni. Vincitore di ben due David di Donatello nel 2016 per Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone, Diamantini ha lasciato la sua preziosa impronta in diversi progetti contemporanei di genere italiani, tra cui mi preme citare l’ultimissimo film di Federico Zampaglione, The Well, classe 2023. Qui, insieme a Mauro Fabriczky, effettista tra gli altri di Blades in the Darkness 2 di Alex Visani (2024), ha realizzato, oltre alle scene più gore e splatter, anche le inquietanti maschere che usano i criminali per entrare nella casa dell’orafo, su espresse richieste del regista stesso. Ci tengo ancora a citare un maestro nel proprio settore, il gioielliere riminese Roberto Fenzl, che ha realizzato, su design dello stesso Ricchiuto, il gioiello – occhio che si vedrà alla fine del film, usando vere tormaline, non semplice vetro di scena, per rendere il vero luccichio di un oggetto prezioso, che in effetti lo era davvero!

Insomma, una bella squadra per questo esordio al lungometraggio del talentuoso Vincenzo Ricchiuto di cui, sono certa, sentiremo parlare ancora. Regia pulita, montaggio che dà adito ad un ottimo ritmo che non annoia mai, cast di buon livello, ottima sceneggiatura premiata a Manchester, tutte caratteristiche che mi permettono di promuovere L’Orafo a pieni voti, sebbene ovviamente presenti anche qualche limite da basso budget, come la terribilmente scura fotografia esterna in notturna, e qualche ingenuità da opera prima, tipo il comportamento spesso illogico dei tre balordi. Ma, si sa, se tutti si comportassero in maniera logica, un certo tipo di film non si potrebbe fare, giusto? Sospendete l’incredulità, quindi, e godetevi la visione de L’Orafo, con questo incredibile finale in piena luce che riscatta tutto il buio del film, sulle magnifiche note di Rise Above All Gods di Andrea Van Cleef & Diego Deadman Potron che calzano assolutamente a pennello.

Il film è attualmente disponibile in dvd o sulle piattaforme Amazon Prime Video e Google Play Film.

https://www.imdb.com/it/title/tt15307448


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