Loro 1: l’universo (Sca)marcio di Silvio Berlusconi

In Italia esistono solo due categorie di incorruttibili: i ricchi, perché non ne hanno bisogno, e i poveri, perché non hanno nulla da offrire.

Mentre un Mike Bongiorno dal volto di Ugo Pagliai appare all’interno di alcuni televisori accesi, una povera pecora si trova a subire le conseguenze della temperatura influenzata da un condizionatore d’aria in una lussuosa abitazione in Sardegna.

È il grottesco avvio di Loro 1, oltre ora e quaranta di visione attraverso cui il napoletano Paolo Sorrentino tenta di ripercorrere il periodo 2006-2010 di Silvio Berlusconi, a detta sua il primo uomo di potere ad essere un mistero avvicinabile.

Oltre ora e quaranta che, tra una Elena Sofia Ricci in salsa Veronica Lario e un Giovanni Esposito nei panni di Mariano Apicella, poggia in maniera particolare sul contorno di squallidi personaggi aspiranti a far parte dell’entourage del padrone di casa Mediaset, se non a tentare di sovrastarlo.

Fotografo: Gianni Fiorito.

Personaggi che spaziano dal Santino Recchia incarnato da un Fabrizio Bentivoglio sopra le righe come al solito ad una Kasia Smutniak “ape regina” della situazione, passando per il Sergio Morra di Riccardo Scamarcio, spregiudicato manager trafficante di disinibite fanciulle e compagno della altrettanto spregiudicata Tamara alias Euridice Axen, la quale non si risparmia neppure di fare da amichetta al primo, con cui si apparta in auto sotto una enorme croce.

Una immagine volta in maniera evidente a rappresentare l’ipocrisia che caratterizza le apparentemente pulite figure di potere, ulteriormente testimoniata dal crocifisso sfoggiato al collo dal già citato Scamarcio, senza dubbio rientrante tra i migliori elementi del discutibile insieme.

Perché, sorvolando su un Ricky Memphis proto-Ricucci capace di strappare risate nel suo brevissimo coinvolgimento, l’autore de Le conseguenze dell’amore, come di consueto, si limita esclusivamente ad estetizzare all’ennesima potenza i fotogrammi che racchiudono uno script – a firma dello stesso affiancato dall’inseparabile Umberto Contarello – dal contenuto piuttosto misero, in questo caso sorta di miscela dei suoi Il divo e La grande bellezza.

Quindi, forte dell’ottima fotografia a cura del fido Luca Bigazzi, non solo scimmiotta di continuo Martin Scorsese (soprattutto The Wolf of Wall street) nel portare in scena i fiumi di cocaina da sniffare, ma sembra perfino guardare in maniera inappropriata ad Alejandro Jodorowsky e a determinate discese negli inferi di Clive Barker nel concretizzare l’assurda sequenza in cui un’attricetta in cerca di carriera viene portata ad incontrare il misterioso e potentissimo Dio.

Fotografo: Gianni Fiorito.

E non mancano neppure un allegorico camion della spazzatura che finisce per riversare tutto il proprio contenuto sulle rovine dell’antica Roma per colpa di un ratto (leggasi “zoccola”) e un’orgia di corpi femminili in piscina sotto una pioggia di MDMA ad alimentare le immancabili, tanto bizzarre quanto stancanti divagazioni oniriche sorrentiniane nel tentativo di guadagnarsi la qualifica di nuovo Federico Fellini.

Ma, se una verità è il frutto della convinzione e del tono con cui la affermiamo, questa “città delle donne” arricchita di amplessi ai limiti dell’hard non possiede affatto la sincera forza critica che un Dino Risi muoveva attraverso i suoi “mostri” su pellicola o che i vari George A. Romero e John Carpenter hanno saputo proporre metaforicamente nell’ambito dell’horror, apparendo, al contrario, quasi in qualità di elogio – soprattutto considerando l’aspetto voyeuristico – alla attaccabile, lussuosa e lussuriosa fetta socio-politica tirata in ballo, un po’ come avviene, paradossalmente, nei porno “impegnati” di Silvio Bandinelli e Mario Salieri.

Fino al crollo decisivo del noioso baraccone provocato dalla ridicola maschera di un Toni Servillo in aria di parodia da Bagaglino del Cavaliere, che, pronto anche ad affermare “Agnelli ha ereditato la sua fortuna, io l’ho costruita” e “Tutto non è abbastanza”, anticipa l’involontariamente demenziale epilogo degno della ZAZ (il trio cui dobbiamo L’aereo più pazzo del mondo, per intenderci), sulle note di Domenica bestiale di Fabio Concato.

 

 

Francesco Lomuscio