L’ufficiale e la spia: Roman Polanski racconta Alfred Dreyfus

La storia che il cineasta polacco Roman Polanski ha scelto di raccontare ne L’ufficiale e la spia è un biopic a dir poco iperdettagliato, una ricostruzione quasi maniacale di un episodio storico.

Il 22 Dicembre del 1894 l’ufficiale d’artiglieria dello Stato Maggiore Francese Alfred Dreyfus, alsaziano di origine ebrea, viene condannato per aver passato informazioni riservate ad agenti dell’esercito imperiale tedesco. La prova che incastra l’ufficiale è  una lettera indirizzata all’addetto militare tedesco nella quale si parla di rifornimenti, schieramenti di truppe nell’area coloniale e di innovazioni tecnologiche.

Ricco, di famiglia benestante, patriota, sposato e con figli, non si comprendono i motivi del tradimento, ma subito dopo il suo arresto, in un paese ancora scosso dalla sconfitta nella guerra franco-prussiana del 1871, vede immediatamente iniziare una campagna da parte della stampa di estrema destra razzista e xenofoba.

Dopo la sua condanna l’ufficiale viene degradato con disonore e inviato nella terribile Isola del Diavolo, una colonia penale nella Guyana francese dove subisce un pesante trattamento che ne infiacchisce la salute. Il colonnello George Piquart, nuovo capo dello spionaggio militare, non è molto convinto della colpevolezza e inizia una indagine che lo porta di fronte al fatto che il Capitano Dreyfus è solo la vittima di un complotto. Un complotto che il colonnello cercherà di svelare, arrivando fino ai vertici del comando dell’esercito francese , rischiando in prima persona la sua carriera e il proprio prestigio per scoprire finalmente la verità.

J’accuse, come dice il titolo originale del film, ci riporta al giornale L’Aurore, che pubblicò un articolo dello scrittore Émile Zola: si trattava di una lettera aperta al presidente della Repubblica francese Félix Faure, suggestivamente intitolata, appunto, J’accuse: una denuncia dell’arbitrio giudiziario e della manipolazione dell’informazione.

La scelta di Polanski nello scegliere questa vicenda della tormentata Terza Repubblica Francese, nota nei libri di storia come  “L’Affaire Dreyfus”, che ci riporta alle origini di una xenofobia e di un antisemitismo presenti nelle classi dominanti, ma anche nella popolazione analfabeta. Un qualcosa che ha poi trovato tragiche conferme nella Seconda Guerra Mondiale, durante la quale i figli di Dreyfus finirono nei campi di concentramento, ma la vicenda, rapportata ai giorni nostri e, forse, alla storia dello stesso Polański, messo di nuovo all’indice per un fatto che risale al lontano 1977, risulta essere decisamente attuale.

Le scelte cinematografiche del regista sono quelle di un grande autore: niente film in lingua inglese, ma giustamente in francese, cast stellare con Louis Garrel, Jean Dujardin, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois, Mathieu Amalric, Olivier Gourmet, Luca Barbareschi (nelle vesti anche di produttore) e Melvil Poupaud,  i quali seguono con ritmo perfetto la sceneggiatura e si calano nella parte in modo totale.

Il team del regista si avvale dei migliori professionisti del settore con la magnifica fotografia di Pawel Edelman e le musiche di Alexandre Desplat e ricrea alla perfezione la Belle Époque, con tanti riferimenti anche a dipinti di noti autori, grazie ai costumi di Pascaline Chavanne e alle scenografie di Jean Rebasse.

In definitiva, un gioiello da parte del maestro, un vero e proprio regalo cinematografico a dispetto di tante voci e cattiverie dovute ad un momento di debolezza e ai fumi dell’alcool. Nessuno vuole giustificare l’episodio, ma, forse, come per il suo protagonista, inviarlo per dieci anni all’isola del diavolo non è servito affatto a fiaccare la sua innocenza.

 

Roberto Leofrigio