L’uomo che rubò Banksy: potenza visiva della street art

La stagione Grande Arte al Cinema porta sul grande schermo L’uomo che rubò Banksy, dedicato al noto street artist inglese Banksy, per la regia di Marco Proserpio.

È il 2007 quando lo street artist mette la sua firma anche sul muro che divide il territorio della West Bank da Israele. Se la comunità internazionale riscopre interesse verso il conflitto medio orientale grazie all’opera provocatoria di Bansky, i palestinesi hanno reazioni diverse.

L’oggetto della discordia è, in particolare, un suo murales, il “Donkey’s Documents”, che ritrae un soldato israeliano che controlla i documenti ad un asino. Da un lato c’è l’ex sindaco di Betlemme, Vera Baboun, che definisce Bansky un eroe contemporaneo e un negoziante che sopravvive grazie alla vendita di souvenir ispirati alle sue opere. Dall’altro lato c’è Walid, un taxista palestrato, che si sente offeso dal messaggio del murales e dall’attenzione mediatica suscitata nei turisti.

Su indicazione del ricco imprenditore Mikael Kawanati, Walid si occupa della rimozione dell’opera, al fine di rivenderla per finanziare i campi profughi. Ma l’operazione consiste in una complicata estrazione chirurgica dal cemento di un blocco che pesa quattro tonnellate. Le motivazioni di Walid non sono infondate: “la street art è destinata a scomparire” a causa degli agenti atmosferici. L’opera, però, così estratta e isolata dal suo contesto, rischia di perdere tutto il proprio valore artistico e monetario.

Il regista Proserpio confeziona un prodotto come se fosse un video clip: segue rigorosamente con macchina a mano i suoi protagonisti, da esperti del settore a comuni cittadini, per raccontare una realtà tragica quale è quella del conflitto israelo-palestinese. Bansky e la sua street art, così, diventano un semplice pretesto per fotografare una realtà drammatica.

Ottima è la voce narrante, sempre ironica, di Iggy Pop, avvolgente e ritmata la musica originale di Federico Dragogna, Victor Kwality e Matteo Pansana.

L’uomo che rubò Banksy vuole riflettere sulla assurda dicotomia che c’è tra il muro, emblema del sanguinoso e lungo conflitto israelo-palestinese, e la street art, di grande impatto visivo ma fragile e destinata a deteriorarsi in breve tempo.

 

 

Anastasia Mazzia