L’uomo col cilindro: dopo… Il passaggio segreto

Vedendone tornare in scena le due giovani protagoniste Natalie La Torre e Rosa Fariello, chi ha avuto modo di assistere al mediometraggio Il passaggio segreto di Stefano Simone potrebbe erroneamente pensare che, diretto dallo stesso, L’uomo col cilindro ne sia un sequel.

Ma stavolta non ci troviamo dinanzi ad un elaborato di quarantatré minuti, bensì ad un vero e proprio lungometraggio della durata di circa un’ora e venti che, pur non essendo una continuazione dell’opera precedente, rappresenta il secondo tassello di una ideale trilogia sul mistero iniziata proprio attraverso essa.

Un secondo tassello che, a differenza di quel primo, concepito tenendo a mente il super classico della tensione Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir e determinati universi rurali di Stephen King, non nasconde però virate verso il genere horror. Perché, calate in una storia decisamente diversa da quella su cui è stato costruito Il passaggio segreto, Fariello e La Torre vestono in questo caso i panni di due laureande in giornalismo impegnate a completare un reportage fotografico presso Villa Rosa, enorme casolare abbandonato nelle campagne, dove aleggia un’aria decisamente sinistra.

E basta questa esile idea di partenza a Simone per mettere in piedi un racconto per immagini guidato in particolar modo dalla curiosità generata nello spettatore a proposito di ciò che dovrà accadere alle due ragazze. Una curiosità generata facendo ricorso ad una ristretta manciata di dialoghi per lasciare ampio spazio alle suggestioni dettate da una avvolgente atmosfera che non si presenta cupa e notturna come vuole una delle principali regole del cinema della paura, ma soleggiata e immersa in desolate scenografie naturali di campagna dal sapore quasi western.

Scenografie a loro modo debitrici anche stavolta nei confronti degli universi letterari kinghiani (si pensi soltanto alla ferrovia che può richiamare alla memoria Stand by me – Ricordo di un’estate) e che il cineasta indipendente sipontino cui dobbiamo, tra gli altri, Una vita nel mistero e Cattive storie di provincia rende affascinante involucro d’inquietudine da schermo.

Affascinante grazie in particolar modo al notevole lavoro svolto sul sonoro, sia per quanto riguarda i silenzi che le musiche dai passaggi proto-Claudio Simonetti concepite dal Luca Auriemma fido collaboratore di Simone. Che, sfiorando i connotati della ghost story nel tirare in ballo durante la fase conclusiva de L’uomo col cilindro proprio le fugaci apparizioni dell’ignota entità del titolo, confeziona non per palati facili quella che possiamo forse considerare la sua fatica maggiormente matura.

 

 

Francesco Lomuscio