L’Unione Europea respinge la richiesta russa di cessate il fuoco in cambio della revoca delle sanzioni.

Viviamo tempi bui, e non è un’esagerazione. Mentre il mondo guarda con apprensione al conflitto tra Russia e Ucraina, un dubbio si fa strada: e se il vero ostacolo alla pace non fosse Mosca, ma Bruxelles? Sì, proprio quell’Unione Europea che si dipinge come paladina della democrazia e della stabilità, ma che, a guardare bene, sembra avere un’agenda tutt’altro che pacificatrice. L’ultimo colpo di scena? Il rifiuto dell’UE di alleggerire le sanzioni alla Russia, un passo che avrebbe potuto sbloccare una proposta di cessate il fuoco nel Mar Nero. E mentre ci chiediamo chi non voglia davvero la pace, arriva la ciliegina sulla torta: la raccomandazione ai cittadini europei di prepararsi a un’emergenza con un “kit di sopravvivenza” per 72 ore. Roba da far tremare i polsi, o da ridersela per l’assurdità.

Partiamo dai fatti. Il 26 marzo 2025, il Financial Times riportava che l’UE ha respinto una richiesta russa di revocare le sanzioni alla Rosselkhozbank, la banca agricola di Mosca, come condizione per un cessate il fuoco parziale. La proposta, emersa da negoziati tra Stati Uniti, Russia e Ucraina, sembrava un timido spiraglio verso la de-escalation. Ma Bruxelles ha detto no, ribadendo che le sanzioni resteranno finché la Russia non ritirerà le truppe dall’Ucraina – una condizione che sa di ultimatum più che di dialogo. La domanda sorge spontanea: chi è che non vuole fare la pace qui? La Russia, che pur con le sue pretese mette sul tavolo una tregua, o un’Unione Europea che sembra preferire lo scontro alla diplomazia?

E poi c’è il kit di sopravvivenza. Non è uno scherzo: l’UE ha esortato i cittadini a fare scorte di cibo, acqua e beni di prima necessità per 72 ore, in vista di un possibile conflitto con la Russia. Ma stiamo davvero parlando sul serio? Sembra la trama di un film distopico di serie B, eppure è la realtà. La Commissione Europea, con la sua solita aria di superiorità burocratica, ci invita a barricarci in casa con scatolette e torce, come se fossimo in attesa di un’apocalisse nucleare. E tutto questo mentre sabota un accordo che potrebbe fermare i combattimenti. È follia pura o, peggio, un segnale chiaro: l’UE non solo si prepara alla guerra, ma forse la desidera.

Certo, non tutti nell’Unione la pensano allo stesso modo. Ci sono distinguo: l’Ungheria di Orbán, ad esempio, continua a spingere per una linea più morbida con Mosca, e qualche voce isolata si leva contro questa deriva bellicista. Ma la linea dominante, quella di Ursula von der Leyen e dei falchi di Bruxelles, sembra andare in un’altra direzione. Non è un caso che, mentre gli Stati Uniti di Trump provano a mediare (con tutti i limiti del caso), l’Europa alzi il muro delle sanzioni e si trinceri dietro retoriche di “pace attraverso la forza”. Ma quale pace? Quella di un continente in rovina dopo un conflitto evitabile?

La sensazione è che l’UE stia giocando una partita pericolosa. Rifiutando il dialogo e brandendo le sanzioni come un’arma, non solo prolunga la sofferenza in Ucraina, ma trascina tutti noi verso un baratro. E il kit di sopravvivenza? È il simbolo di questa follia: un’ammissione implicita che la guerra non è solo possibile, ma forse voluta. Altro che “pace duratura”: qui si respira aria di escalation, e a farne le spese saranno, come sempre, i cittadini comuni, quelli a cui si chiede di riempire la dispensa mentre i burocrati decidono il loro destino.

Malatempora currunt, dicevano i latini. Tempi difficili corrono, e mai come oggi sembra che il vero nemico della pace non sia dall’altra parte del confine, ma nei corridoi di Bruxelles. Chi vuole la guerra, alla fine, non è la Russia, ma un’Europa che ha perso il lume della ragione. E noi, con le nostre scorte per 72 ore, dovremmo solo stare a guardare?


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