A differenza dell’enfatico e prevedibile film di finzione I colori dell’anima di Mick Davis, con Andy García nel ruolo dell’introverso ed estroso pittore livornese, il documentario Maledetto Modigliani elude lo scoglio dell’ampollosità degli ordinari biopic.
L’egemonia dell’alacre cura dei dettagli rivelatori sui programmatici stilemi mélo accresce l’idoneo senso della scoperta. Mettendo quindi in cantina gli espedienti romanzeschi dettati dal desiderio di prendere al laccio il pubblico avvinto dall’esacerbazione dei luoghi comuni sul cupio dissolvi degli artisti schiavi dell’alcol e della droga.
L’appassionata regista Valeria Parisi, reduce da Il museo del Prado – La corte delle meraviglie, una sorta di viaggio virtuale impreziosito dal contributo dell’attore Jeremy Irons che spinge gli spettatori ad appassionarsi ai segreti relativi a ogni quadro esposto nella prestigiosa galleria, conferma in Maledetto Modigliani una vena immaginifica piuttosto rara nel campo documentario. Il match-cut visivo dell’incipit, partendo dall’elemento primordiale ed evocativo dell’acqua, incentiva la densità lessicale della parola scritta. Tradotta in brivido dalla muliebre ed empatica voce fuori campo. L’esplicito crescendo narrativo, intento a cementare il processo d’identificazione con la trama, trae linfa dal ricorso alla geografia emozionale. L’immagine della Senna a Parigi, dove la Belle Époque mise le radici per consentire al carattere d’ingegno creativo dell’invenzione di trovare l’approdo ideale, trascende l’ovvio scrupolo cronachistico. Il collo di cigno regalato alla sua modella per antonomasia, Jeanne Héburtene, che pone in risalto le risorse espressive del dinamico montaggio, cede poi spazio alle argomentazioni degli storici e dei docenti emeriti.
L’annunciata presenza dei demoni privati sulle tele dei ritratti di Domigliani persuade però meno rispetto all’effigie dei vicoli, delle strade, della città natale in cui le storie di vita quotidiana si vanno ad amalgamare all’acume di alcune incisive tecniche stranianti. Anche la testimonianza del conterraneo Paolo Virzì, che spiega la differenza tra il rigore filologico del genio e lo zelo di un “secchione”, paga dazio al timbro superficiale dei meeting dispiegati alla bell’e meglio. Ad approfondire il rimpianto per le atroci incomprensioni patite in vita da Modigliani, per poi essere unanimemente riconosciuto come un fuoriclasse, in grado di lasciare una traccia indelebile a distanza di cento anni dalla mesta dipartita, provvede l’apposita correlazione con gli ambienti. Connessa all’analisi degli stati d’animo del passato e del presente. I movimenti di macchina in avanti lungo le vie alberate che ne ispirarono l’ardore durante l’età verde cercano d’innescare la dimensione mitopoietica conforme alla tensione formale garantita dalle scelte cromatiche. Il rapporto ivi connesso della natura con la materia costeggia talvolta soluzioni già abbondantemente sfruttate in Camera con vista di James Ivory e Copia conforme di Abbas Kiarostami. Alla capacità dei monumenti in pietra di perdere la marmorea immobilità attraverso il tumulto delle passioni, legate a doppio filo a La Ruche, l’emblematica struttura acquisita dallo scultore mecenate Alfred Boucher ai primordi del secolo breve per ospitare i colleghi indigenti ma ricchi di spirito, prevale l’efficacia delle note intimiste.
Soprattutto in merito allo stream of consciousness dell’avvenente ed eterea Jeanne. Il lavoro di sottrazione congiunto ai dipinti e alle fotografie d’epoca crea un considerevole margine d’enigma. Accrescendo l’interesse per il prosieguo dell’intensa docu-fiction. Gli inevitabili riferimenti a Picasso, insieme alla sete di conoscenza riscontrabile in certi scatti in bianco e nero stentano invece ad accoppiare il richiamo citazionistico, sia pure in filigrana, a L’attimo fuggente di Peter Weir alle doti d’osservazione scevre dall’accidia delle idee prese in prestito. Nondimeno l’ampia aneddotica finisce per tratteggiare un profilo perlomeno curioso. Giacché per larghi tratti inedito. Al saldo professionismo dimostrato nel riuscire ad appaiare il pluralismo dei compositi punti di vista, senza imbattersi in palesi incongruenze, col cuore e il cervello intenti a contendersi la parte del leone, Valeria Parisi aggiunge dei calorosi tocchi introspettivi che sopperiscono alla freddezza del nucleo concettuale. Mentre la ricchezza di prospettive garantita in zona Cesarini dalle correzioni di fuoco trascende l’impasse delle pagine d’alta chiosa, sprovviste dell’idoneo mistero, l’ultima, vertiginosa, rampa di scale, che incoraggia l’avvincente promessa d’amore sancita con Jeanne prima dell’insano gesto compiuto dalla fragile musa, chiude in Maledetto Modigliani l’erudita tastiera di echi e controcechi . All’insegna della spiritualità.
Massimiliano Serriello
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