Nel 2014 il regista americano Anthony DiBlasi fa uscire nelle sale l’horror Last Shift, di cui è anche co-sceneggiatore. Nel 2023, evidentemente non soddisfatto al 100% della sua opera precedente, lo stesso DiBlasi ci propone Malum, remake di Last Shift. Il film è una vera bomba: inquietante, spaventoso, nerissimo, disturbante, attinge, senza copiare mai, da mostri sacri quali Clive Barker e John Carpenter, ripresentando finalmente quel tanto amato cinema di mostri che manca da un po’ sui nostri schermi, quantomeno in produzioni di un certo livello. Presentato in anteprima italiana al FiPiLi Horror Festival 2023, il film ha ottenuto opinioni tendenzialmente positive, sebbene il pubblico si divida, come sempre accade, tra coloro che preferiscono l’originale e chi invece trova questo remake ancora più potente e scioccante.
Jessica Loren è una giovane poliziotta che decide di intraprendere questa carriera per seguire le orme del padre, Will. L’uomo era considerato una specie di eroe per aver smascherato una setta di folli che, guidati da tal John Malum, rapivano delle giovani per sacrificarle ad un loro Dio sadico e perverso. Will Loren era riuscito a salvare tre delle ragazze imprigionate da Malum e dai suoi adepti, facendo arrestare tutta la setta. Proclamato come eroe, l’uomo punta però un fucile alla testa di due colleghi uccidendoli a sangue freddo e poi si infila la canna in bocca facendosi saltare il cervello. La figlia è decisa a capire cosa sia successo al padre che tanto amava e si fa assegnare il turno di notte, lo stesso che aveva lui, nella stazione di polizia, ormai dismessa, dove Malum ed i membri della setta si erano suicidati in massa. La notte nella vecchia stazione non sarà affatto piacevole e Jessica verrà a conoscenza di realtà così folli e terribili da non sapere come affrontarle. Inoltre si accorgerà ben presto di non essere sola nei grandi spazi vuoti e bui dell’enorme edificio quasi esclusivamente abbandonato.
Girato pressoché per intero in una vera prigione abbandonata a Louisville, Kentucky, il film si poggia quasi tutto sulla magistrale interpretazione della protagonista, l’attrice gallese Jessica Sula, che avevamo già ammirato nel 2016 in Split di M. Night Shyamalan, e sulle opprimenti ed angosciose atmosfere claustrofobiche che si vengono a creare, grazie ad una sapiente costruzione della suspense e ad effetti speciali e jumpscares semplicemente perfetti, all’interno del minaccioso penitenziario dismesso. Il parallelismo tra la setta di Malum e la Manson Family è evidente, e questo allacciarsi ad un fatto di cronaca reale e quanto mai vivo nella mente di tutti rende il film ancora più spaventoso. Malum è un vero e proprio horror puro, nella sua tradizione più schietta e sanguinolenta, con assassini psicopatici, mostri, fantasmi e visioni che non lasciano il tempo nemmeno di respirare, risucchiando lo spettatore in un vortice da cui si tira un sospiro di sollievo solo durante i titoli di coda. Oltre, ovviamente, a rifarsi all’opera da cui prende avvio, Last Shift, Malum mutua molti spunti anche dall’horror lovecraftiano di Steven Kostanski e Jeremy Gillespie del 2016 The Void, che, seppur ambientato in un ospedale, prendeva anch’esso spunto dai rituali perpetrati da oscure sette dedite al culto di antiche divinità demoniache.
Sebbene, quindi, non si debba vederlo per ricercarvi chissà quale originalità, Malum è tuttavia un film che fa egregiamente il suo dovere, facendo sussultare spesso, e non usando jumpscares scontati e fine a se stessi ma piazzandoli nel punto giusto al momento giusto, come sempre dovrebbe essere. Certo, qui, il budget è maggiore rispetto a Last Shift, e si vede; la confezione è più patinata, gli effetti meno indie, tuttavia l’atmosfera rimane la medesima, ed anche se, probabilmente, il remake di tale opera non fosse necessario, si arriva comunque a un buon horror che solleticherà i palati dei veri amanti del genere. Quello a cui assiste la povera Jessica durante il famigerato turno di notte è reale o si tratta solo della sua immaginazione che sta vacillando, facendola sprofondare nella follia? Non sarà mai chiaro, fino alla fine, e questo rende il tutto molto inquietante. Pur avendo un ricordo piuttosto nitido dell’originale, ciò non guasta la visione di questo remake che, forse proprio perché ad opera dello stesso regista, non snatura né depaupera la pellicola di partenza.
Un capriccio d’autore, ecco come mi verrebbe da definire questo Malum. Come se DiBlasi una mattina si fosse svegliato ed avesse deciso di voler dimostrare al mondo come la sua storia (scritta a quattro mani con Scott Poiley) fosse così bella da poterci reinvestire sopra un budget maggiore e renderla ancora più avvincente, mozzafiato. Costruisce delle motivazioni più solide alle spalle di Jessica, che in Last Shift aveva un background molto meno “raccontato”, lo infarcisce di flashback e jumpscares, ed il gioco è fatto. Ne risulta, però, una struttura più classica, meno sovversiva, e mi fa venire in mente ciò che fece Raimi a suo tempo con La Casa e La Casa 2. Tutto sommato io preferisco La Casa, più scalcagnato, più indie, fatto con due lire e con i compagni di scuola, ma rivoluzionario, unico, inimitabile. Ed anche nel caso dell’operazione di DiBlasi molti calcano la mano sul fatto che Last Shift fosse più originale e meno canonico rispetto a Malum. A me, a dire il vero, sono piaciuti entrambi, e non sto lì a farmi tante paturnie su quale sia il migliore, sebbene Last Shift fosse un buon film che quasi sicuramente non aveva bisogno di un remake. Ma Malum è un horror puro, cattivissimo, disturbante, e quindi a me è piaciuto tanto, nonostante tutto. Anche i personaggi di contorno, dalla mamma di Jessica, alla prostituta, al barbone, ai colleghi della donna, che in un modo o nell’altro riescono ad accedere alla vecchia stazione di polizia, finanche il povero maiale marchiato col simbolo della setta demoniaca, tutti sono inquietanti, duplici, portatori di realtà che se lette all’interno possono solo condurre alla follia. E poi ci sono i mostri, bellissimi, un po’ Barker, un po’ Silent Hill, un po’ Fulci e un po’ Stranger Things, che, se non hanno il ruolo centrale come nel citato The Void, anche qui popolano comunque i bui corridoi dell’enorme edificio, ed incontrarli è tutto tranne che piacevole. Ma come sono belli! Si strizza l’occhio persino a Jeepers Creepers, a Sinister, e, perché no, alle creature di A Quiet Place, nella costruzione di questi esseri da incubo che Jessica non sa se siano frutto della sua suggestione o, purtroppo, reali, segni tangibili della forza della setta capitanata dal luciferino John Malum.
L’incubo di DiBlasi è ben costruito … ci porta dentro, brutalmente, fin dall’inizio, con il repentino gesto del poliziotto eroe che nessuno, ovviamente, si aspetta, ed ogni minuto che passa le cose peggiorano, le visioni divengono più orride, più spaventose, più allucinanti, riuscendo a far sussultare anche lo spettatore più avvezzo a tali pellicole. Il regista, volente o nolente, tocca nel segno, fa centro, riesce a tornare a spaventare con i mostri, e questo non è un merito da poco, a mio modesto parere. Anche il lato gore è debitamente sviluppato, gli effetti sanguinolenti non mancano, regalandoci così un film che accontenta sia gli amanti delle ghost story sia quelli dello splatter. Jessica è una protagonista profonda, non una scream queen da quattro soldi, coraggiosa, talmente attaccata al ricordo del padre ed al desiderio di riabilitarlo da farsi sputare addosso da tutti coloro che lo ritengono semplicemente un folle assassino. Ella sa che non è così, che Will Loren è sempre stato un grand’uomo, un padre ed un marito fantastico … cosa può averlo indotto quindi a fare ciò che ha fatto e poi a togliersi la vita? Scavando nel suo passato la ragazza si accorgerà che tutta la sua vita è stata ben diversa da quella che lei credeva, e che suo padre e sua madre hanno fatto cose che, in un modo o nell’altro, l’hanno condotta proprio lì, dove si trova adesso. Non ha avuto nessuna scelta, ma solo ora se ne renderà inevitabilmente conto. Il finale è beffardo, e doloroso come non mai. Disilluso, non lascia via di scampo e nessuno spazio per l’happy ending. Le cose non possono che andare così. Punto e basta. Il Male non muore mai, come aveva sottolineato James Isaac nel decimo capitolo della saga di Jason Voorhees, Jason X. Con una risata sardonica che pare non finire mai, i cattivi ed i mostri, ivi riuniti, si divertiranno a prendersi gioco di Jessica e di tutte le sue insicurezze, i suoi passi falsi, i suoi cedimenti, che man mano la portano verso l’orlo dell’abisso, sul baratro spalancato direttamente sull’inferno. Ed in quell’inferno l’aspetta lui, il Barone del Tempio, adorato dalla setta di Malum, divinità demoniaca prebiblica conosciuta come il Messaggero dei Dannati, il basso Dio, basso non nel senso di statura, a quanto pare, ma nel senso che dimora negli abissi. Quando appare ci fa pensare ai supplizianti di Hellraiser, ed ovviamente già gli vogliamo bene a prescindere. E l’intricato dedalo di corridoi dai quali spuntano mostruosità inimmaginabili non può non farci pensare a Cabal ed alla sua città sotterranea popolata da abomini di ogni sorta, Midian, anch’essa uscita dalla fervida fantasia di Clive Barker. Del resto, cosa potevamo aspettarci da un regista che, prima di esordire dietro la mdp, produce Book of Blood di John Harrison (2008), tratto dall’omonimo libro di Barker, e The Midnight Meat Train di Ryûhei Kitamura (2008), tratto da una storia presente nella sua antologia Infernalia, e debutta come regista con Dread (2009) ispirato ad un racconto del secondo dei sei Libri di Sangue, Ectoplasm? DiBlasi, quindi, ha Barker che gli scorre nelle vene, e ce lo dimostra in ogni fotogramma del suo film, accaparrandosi così i favori di coloro che, come me, sono cresciuti immersi nelle oniriche storie dello scrittore inglese.
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