Marco Cantini: la letteratura in musica

Interviste simili dovrebbero durare a lungo. Lo sa bene la RadiciMusic di Aldo Coppola Neri che da anni ormai investe attenzioni solo e soltanto su progetti di questo livello culturale. E fino ad ora abbiamo messo in gioco solo parole scomode al mercato italiano. E non si tratta solo di cliché ma di vita che artisti come Marco Cantini vede passare sulla propria pelle lasciando ferite delle volte (crediamo noi) difficili da rimarginare. E chissà quanti sono le voci importanti che la superficialità estetica di questo mercato ha contribuito a soffocare. Ma cercheremo anche di parlare proprio di estetica con il cantautore toscano, estetica profonda e di estetica superficiale, quella che serve anche al gusto e all’orecchio. Questo nuovo disco si intitola “La febbre incendiaria” ed è un omaggio – e se possibile fare un gioco con le parole lo definirei una “cover” – del celebre romanzo “La storia” di Elsa Morante. Bellissima impaginazione grafica, bellissimi disegni a corredo dell’artista Massimo Cantini (padre del cantautore), bellissimo modo di presentarsi. E anche un simile prodotto è tutto quel che al mercato dell’immediato e del digitale non interessa. E poi… canzone d’autore finemente ricamata, dalle parole importanti e dalle trame prestigiose.

Cantini narra questo libro, alcune parti intendo, in 14 inediti che suona e incide dal vivo (o quasi) negli studi di Gianfilippo Boni sotto la direzione artistica di Francesco Moneti (dei Modena City Ramblers) e Claudio Giovagnoli (dei Funk Off). E dentro questo lungo viaggio incontreremo tanti ospiti e tanto bisogno di conoscere questo romanzo… ecco: l’ascolto di questo disco forse necessità di fame e curiosità, di attenzione e di lettura. Un romanzo come quello della Morante non può passare inosservato e Cantini lo ha capito bene. E ora stiamo parlando di libri: nulla che possa interessare al mercato che celebra la plastica di Sanremo e compagnia cantando. A seguire anche il nuovo video ufficiale del singolo “Un figlio” così che da subito si capisca di quale spessore musicale e letterario si sta parlando… che fa sempre bene ricordare il peso letterario che vuole e che deve avere un disco di un cantautore. Noi però, a dimostrazione che abbiamo attenzione sincera, ci soffermiamo e chiediamo a voi lo stesso impegno. Soffermarsi: che altra parola scomoda per questo mercato commerciale. Però che povero sta diventando questo santo mercato…

Noi parliamo molto di estetica. Estetica quella di scena, quella immediata, quella da vedere. Per te che significa questa parola? Che valore ha l’estetica?
È una parola che associo alla creazione di un brano, al fare musica. Racchiude un concetto importante, benché certamente soggettivo, che mi accompagna sempre nella scrittura. Chiunque sia un creativo, modula il suo personale concetto di estetica in funzione del proprio vissuto, fatto anche di errori e scelte fallimentari. In fondo, la creazione è come una ruota costante che gira con maggiore esperienza e maggiore coscienza, anche se talvolta con meno freschezza e spontaneità.

Tu sembri quasi ignorarla o comunque sembra quasi che non sia necessario rispettarne le regole – passami il termine – mediatiche. Ho questa sensazione ascoltando i tuoi lavori…
Non sono sicuro di aver ben capito cosa intendi, per regole mediatiche. Credo che ascoltando le mie canzoni sia possibile comprendere molto chiaramente i miei riferimenti culturali e musicali. E quei riferimenti di cui parlo, avevano regole non scritte che probabilmente non sono le stesse alle quali ti riferisci, ma comunque erano ben presenti e costituivano uno stile, un modo di fare musica e veicolare dei concetti. Tra l’altro, ritengo di essere fin troppo ligio – e sottolineo ancora, non è un merito né una colpa, ma un usus scribendi in me naturale, che soddisfa i miei canoni estetici – a certi dettami consolidati della forma canzone. Sfido chiunque a non riconoscere nei miei brani, salvo rarissimi casi, strofe, bridge e ritornelli. Chi sostiene che siano canzoni dalla struttura non convenzionale, forse non vi ha posto molta attenzione. Ma se, per regole mediatiche, intendi canzoni dai testi facili e brevi con ritornelli orecchiabili, ti rispondo che hai ragione ma forse non ha molto senso continuare a parlarne con me: è fin troppo ovvio che non sia mai stato quello il mio obiettivo. Sarebbe come meravigliarsi se un cane non miagola.

Letteratura e musica. In questo disco direi che le due forme di arte siano coese assieme. Anzi, il romanzo di Elsa Morante ha ispirato e guidato la tua stesura del disco. Dunque a questo punto ti chiedo: il Premio Nobel a Dylan, secondo te?
Un poeta a me molto caro, sosteneva che i premi sono fugaci come farfalle di polline fuggevole. Al di là dell’importanza del Nobel, ritengo che sul premio a Dylan se ne sia parlato fin troppo, e questo poco mi interessa. Ciò che conta, ed è innegabile, è che si tratta di un gigante; un grandissimo artista che ha influenzato senza scampo chiunque, dopo di lui, abbia cercato di dare un valore alto alla parola cantata.

E nel video di “Un figlio” ho intravisto anche un messaggio sociale di condivisione e di accettazione… non è così?
Direi soprattutto di condivisione. Evocando una forma di resistenza giovanile oggi nel 2019, anziché negli anni della seconda guerra mondiale descritti da Elsa Morante. Perché gli oppressori ci sono ancora, magari meno evidenti e talvolta riconducibili a quella violenza invisibile prefigurata da Žižek, ma comunque ben presenti. Ed è doveroso opporsi sempre ad essi, a qualunque costo, anche attraverso l’esempio.

Ma in generale, oltre a raccontare questo celebre romanzo, “La febbre incendiaria” nasconde dietro significati tuoi personali, magari sociali come evidenziavo prima, magari esiste una chiave di lettura che esula completamente dal libro della Morante… ?
Ciò che mi preme ribadire, è che non si è trattato di una sterile rievocazione da passatista, fine a se stessa. I concetti espressi da Elsa Morante, attraverso le storie di personaggi validi in ogni tempo (sono gli sconfitti dalla Storia), sono oggi più che mai attuali e lo saranno sempre. La Morante ne era ben consapevole, altrimenti non avrebbe fatto uscire il romanzo con il sottotitolo “uno scandalo che dura da diecimila anni”. Cos’altro aggiungere?

Chiudiamo con un concetto che vorrei sottolineare. Questo disco è stato registrato dal vivo o sbaglio? Anche questo dettaglio: in direzione ostinata e decisamente contraria all’elettronica del futuro. Ma perché tutto questo purismo estetico e concettuale?
Sull’elettronica del futuro, non sono molto d’accordo. Credo che fino a che esisterà l’uomo esisterà la musica suonata con strumenti ben presenti fisicamente, e su certi generi (parlo del mio) non è assolutamente possibile prescindere da questo per mantenere certi standard di qualità. Tuttavia non si tratta di purismo estetico, né tantomeno concettuale. Si tratta soprattutto di lavorare al meglio, impegnandosi perché ciò avvenga. Il disco è stato registrato in larga parte in presa diretta per una questione di opportunità da cogliere al volo: ho il privilegio di poter collaborare con formidabili musicisti, che come tali trovano le condizioni ideali, il loro habitat più favorevole, se messi in condizione di registrare assieme. Così è stata fissata una magia irripetibile, sviluppata in pochi giorni di session, che ha tirato fuori il meglio anche dalla mia voce. Cantare in sovraincisione, non sarebbe stata la stessa cosa.