Come al solito non facciamo critica discografica… ma umana e spirituale. Si intitola “Jukebox all’Idroscalo” questo nuovo disco che ci arriva dalla INTERBEAT di Luigi Piergiovanni, quel cantautore che si fa chiamare Rosybyndy e che riporta a casa sempre fratture di critica assai marcate e che spesso cerca di trasgredire alla forma canonica restandole fedele al tempo stesso. Opera assai intelligente… Ed è sua la produzione che immortala il suono e l’estetica di Marco De Annuntiis, cantautore, autore, scrittore e tanto altro ancora. Poi la Cinedelic, che spesso come label sforna suoni e scritture che gravitano attorno al mondo cinematografico, pubblica il disco in formato vinile… e par chiudersi un cerchio che nel DNA tinte marcate di quella beat generation tanto cara all’autore di “Jukebox All’idrogeno”, uno dei cardini a cui si ispira il lavoro del cantautore romano. Ma anche l’Idroscalo teatro dell’omicidio di Pasolini, ma anche quel certo rispetto per il cliché popolare (a cui devolvere riconoscenza per la riconoscenza) e per quel certo frammentare forme – appunto canoniche – in luogo di una personalità da sfoggiare senza – sempre in apparenza d’intenda – filtri e condizionamenti. “Jukebox all’Idroscalo” è un disco noir, di pop d’autore, di r-moscia anche nei modi e di voce strafottente che lancia strafottenti critiche alla società e canta spietate irriverenze all’omologazione. Sono 3 i video che fanno da corona a questo disco. Noi che al bello puntiamo attenzione, chiediamo al bello che appartenga ad una di queste due grandi famiglie: una rispetta e celebra con attenzione e didascalia letteraria i dettami della moda e del cliché… l’altra gioca al gioco dell’arte, con personalità libera di andare in ogni direzione. Abbiamo come l’impressione che, furbescamente, De Annuntiis cerchi di restare in un limbo comodo… non se sempre gli riesce ma tempo che resti davvero l’unica cosa intelligente da fare prima di cadere, in ogni caso, in una prevedibilità noiosa. Ci prova e non lo apprezziamo tantissimo… lui che di personalità ne dimostra parecchia.
Estetica. Noi parliamo tanto di estetica. Da quella sfacciata delle apparenze a quella profonda da rincorrere tra le righe. Cos’è per te estetica?
Mettiamola così: fino ai 18 anni ognuno è come madre natura l’ha fatto, dai 18 anni poi ognuno diventa responsabile della faccia che ha: le nostre opinioni, sentimenti, abitudini e stili di vita, mutano la fisionomia più della chirurgia. Si dice sempre che “apparire senza essere” è inutile, il che ovviamente è vero. Ma non sottovalutiamo che è inutile pure essere senza poi avere il coraggio di apparire: bisogna mettercela la faccia.
Esteticamente ma soprattutto personalmente, possiamo definirti un artista figlio della beat generation?
Più che un figlio casomai un pronipote! Quanti anni credete che abbia? (ride, ndr.) Ma tutto il rock è figlio della beat generation: se non ci fosse stata la poesia beat a dargli contenuti e renderlo adulto, il rock’n’roll sarebbe stato un ballo di moda per un paio d’anni e nulla più, come il cha-cha-cha prima e il twist dopo.
Appunto resterei sul tema. Di certo la poesia beat cercava la sua estetica ma è altrettanto certo che schivava la diffusione mediatica. Tu come gestisci il rapporto con la visibilità mediatica? La insegui, ne si schiavo o ti è indifferente?
La timidezza non è mai stato un problema, sono timido quanto Rocco Siffredi. È lo snobismo casomai che mi frega, ho sempre trovato volgare l’idea di dover sgomitare per farsi strada, proporre la propria musica come un venditore porta a porta. Però ho anche imparato che la discrezione non solo non viene mai premiata, ma nemmeno notata. Indifferente? Mi sforzo di esserlo, certo chi non sopravvive alle critiche più crudeli è meglio che non pubblichi mai nulla. In realtà perfino un complimento può darmi fastidio, basta che lo ritenga sbagliato…
Oggi la vera rivoluzione per te quale sarebbe? Dissacrare i miti come De André, o costruirne di nuovi? E nel costruirne, useresti modelli nuovi o forme delle passate generazioni?
Non è possibile creare nuovi miti, non c’è spazio di manovra. Con i social è come se fossero tutti personaggi pubblici ancor prima di eventualmente diventarlo davvero. Nulla viene lasciato all’immaginazione quindi è difficile incuriosire, come del resto è difficile deludere. L’Alta Definizione poi, è pornografia pura, nel senso che il porno è l’unico genere che ne ha tratto vantaggio: anche la divina Greta Garbo era “divina” perché in realtà nessuno la vedeva bene! Bisognerebbe ritirarsi a vita privata come Salinger, mollare tutto, “andarsene in silhouette” e chi s’è visto s’è visto. Ma confesso che sono troppo imperfetto, troppo mondano, troppo frivolo per andarmene a fare l’eremita sul cucuzzolo della montagna.
Questo disco cura molto l’estetica… e nell’immaginario sei fedele agli anni ’70, anche ’80, reduce di quella Milano a mano armata, dei polizieschi, di quel certo noir a colori. Perché?
Sono affezionato a quell’immaginario perché è quello della mia infanzia, degli anni ’80 nei quali sono nato o dei ’70 che in quel periodo arrivavano in ritardo in televisione. I modellini delle auto con cui giocavo erano Maggiolini e Alfette, quindi aspettavo di essere grande per averne una. Poi sono arrivati i computer, gli airbag, i microchip, i metal detector, l’ossessione della sicurezza, la paura del terrorismo, il divieto di fumo nei locali pubblici… la mia generazione ha subito un trauma, da piccoli venivamo preparati a vivere in un mondo che oggi che tocca a noi è scomparso: bella fregatura.
E per chiudere: ci spieghi questa voce? Anche questa ha un’estetica davvero importante e delicata… secondo me va spiegata…
La mia tesi di laurea in Lettere si intitolava appunto “La poesia della voce”: fino a cento anni fa poeti, cantanti e attori non potevano riascoltarsi, avevano consapevolezza solo della propria voce interiore. Oggi chiunque può riascoltarsi e imparare a padroneggiare la propria voce: una rivoluzione totale, ogni interpretazione è l’impressione di un attimo irripetibile, come una fotografia. La mia voce è particolare perché fumo moltissimo, sessanta sigarette senza filtro al giorno: questo peso la rende autentica. Ma forse tu ti riferivi alla “R”: io sono convinto di pronunciarla benissimo, esattamente come va pronunciata. Dopo la scuola mi bocciarono all’Accademia di Arte Drammatica dicendo che soffrivo di rotacismo: lì per lì mi incazzai moltissimo, poi quello che era un difetto per un attore è diventato il marchio distintivo di un cantante.
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