È prezioso questo “Bio-“ che sforna la potenza vocale a manifesto di verità “biologica”, reale, terrena e materica. Un nuovo disco per Marilena Anzini e il suo ensemble vocale femminile Ciwicè. Alla voce, vero centro di tutto, attingono spazio suoni delicati di chitarra e pochissimo altro che vi invitiamo a scoprire, niente di digitale, niente di macchinoso e programmato. L’antichità, come la voce, è un punto fermo. Di bellezza parleremo… di vocalità ma soprattutto di verità.
Noi iniziamo sempre parlando di bellezza. Ma andiamo oltre quella bellezza che funziona alla facciata delle copertine. Andiamo oltre. Per Marilena Anzini cos’è per davvero la bellezza?
Parto subito in quarta e ti dico che per me la bellezza è uno dei linguaggi con cui Dio comunica nel mondo. Al cospetto della bellezza, in una qualunque delle sue innumerevoli forme, nessuno può rimanere indifferente e infatti ci si incanta davanti ad un quadro, ci si commuove per una poesia, ci si “scioglie” di fronte ad una gentilezza…
La bellezza a volte ti sorprende arrivando in modo esplicito, ad esempio con un tramonto, o con una musica che non conoscevi e che ti rapisce: allora è come se ti venisse a trovare lei, come un dono inaspettato. Ma per me è soprattutto una ricerca: l’artista entra in una sorta di dialogo con l’ignoto per rendere manifesta la bellezza che spesso si nasconde e richiede attenzione e impegno per essere trovata e costruita. Non è appannaggio solo degli artisti, ovviamente: forse possiamo definire artista chiunque faccia il proprio lavoro in modo creativo, con fantasia, competenza e amore. Penso a chi lavora nel campo dell’educazione: dietro gli atteggiamenti distruttivi di molti adolescenti, ad esempio, si nascondono un sacco di qualità umane -spesso distorte e soffocate dalla paura- che non vedono l’ora di essere portate alla luce. Non ricordo dove l’ho letto ma la parola ombra, forse nell’antica lingua ebraica, significa “ciò che luce ancora non è”. Ecco, la bellezza è saper immaginare la luce anche nel buio. E la cosa più interessante è che il processo creativo verso la bellezza rende migliore chi lo percorre, a prescindere dal risultato. C’è una frase stupenda di Fernando Pessoa: “Sono esigente con la Bellezza, deve venire da dentro”.
Come la cerchi, che messi usi, come sai d’averla trovata?
La cerco ovunque nel mio quotidiano, nelle ricette in cucina, nelle relazioni, ovviamente nel mio scrivere e comporre canzoni. A volte però cercare la bellezza a tutti i costi può generare una tensione interna che blocca il processo creativo. Allora spesso, quando inizio un nuovo brano, mi dico: “Adesso scrivo una canzone brutta”. Questa semplice frase mi allenta la tensione di “cercare”, mi pone in un atteggiamento più di ascolto e mi apre a molte possibilità in più, anche inaspettate: arrivano intuizioni e idee e, più sono strane, più le accolgo e vedo come comporle nell’insieme. Anche quando sono brutte per davvero e inutilizzabili, portano comunque qualcosa di buono perché spostano un po’ più in là il campo d’azione creativo.
L’altra domanda che mi faccio spesso durante il processo creativo è: “Di che cosa ha bisogno la canzone?” Insomma, all’inizio mi concedo qualunque cosa e solo successivamente lavoro di cesello per distinguere cosa è funzionale alla canzone, cosa dà più senso, sincerità e coerenza alla relazione tra parola, significato, suono, melodia, armonia…
Come so di averla trovata? Parlando sempre di canzoni, nella fase creativa lascio sempre delle pause che mi sono indispensabili per mantenere una certa obiettività; quando poi il brano mi sembra finito, lo lascio decantare per un po’ di giorni. Poi lo riascolto: se mi suscita una vaga sensazione di stupore, quasi come se non lo avessi scritto io, allora ho la sensazione di aver fatto un buon lavoro.
La bellezza spesso è sinonimo di origine, di un ritorno al mero concetto più che la forma. Ho trovato tutto questo nella copertina di questo disco… un ritorno alla fanciullezza anche… i segni bastano per
capire che ogni cosa è vita?
Il disegno di copertina, così come tutti i disegni all’interno del booklet, sono opera di Estheranna Stäuble, un’artista svizzero-tedesca che è anche una carissima amica e collega cantante. Ha creato appositamente un disegno per ogni brano, con una sensibilità davvero rara. Sì, dici bene, anch’io sento nei suoi disegni un forte richiamo all’essenzialità e all’innocenza: il suo segno vibrante e vitale, i colori che si fondono senza confondersi, le figure simboliche ed evocative…sembra davvero che i suoi disegni cantino!
A me piace che un album non sia solo un insieme di canzoni ma anche un oggetto da toccare, figure da interpretare, parole da leggere che si mischiano alla musica e alle immagini…mi piace che l’album sia un’esperienza pluri-sensoriale, che apra un dialogo con chi lo ascolta e che lasci spazio all’interpretazione di chi lo ha tra le mani…come fosse un pezzetto di vita, insomma.
E il suono? Come lo hai scelto il suono di questo disco? Le cose della terra, della natura… hai fatto suonare anche loro?
Come sempre ho privilegiato i suoni acustici: le voci soprattutto, quelle dell’ensemble vocale femminile Ciwicè con la special guest Nicoline Snaas nell’ultimo brano “Tra il silenzio e le parole”, la chitarra acustica, il basso fretless di Michele Tacchi che effettivamente non è acustico, ma è talmente morbido e avvolgente da suonare comunque naturale. E poi l’arpa celtica in “Tai Chi” suonata da Ludwig Conistabile e il ronroco, strumento boliviano simile all’ukulele con cinque corde doppie di nylon che suono in “Lezione da un seme”. Pensa che le corde di questo strumento sono fatte con una bio-plastica ottenuta dalla canna da zucchero…quindi sì, c’è molta natura in questo disco! Il sound finale però è opera di Giorgio Andreoli, produttore di Bio- e anche dei precedenti Oroverde e Gurfa. Quando si entra in studio ovviamente non si possono non usare le macchine, ma Giorgio è bravissimo a fare in modo che il sound finale sia il più naturale possibile, senza effetti invadenti o elettronici. D’altronde l’album si intitola “Bio-“, il prefisso che indica “tutto ciò che vive”, ed è uno sguardo e una riflessione sulla vita, sulla connessione e la comunicazione che ognuno di noi ha con se stesso, con gli altri, con la natura e con il trascendente.
Resto sul punto: è un disco che alla natura chiede un ruolo importante vero? Ha senso dirti che secondo me tanto di questo suono è figlio della natura?
Mi fa piacere che tu colga questo forte legame con la natura, di cui noi siamo parte e a cui siamo profondamente connessi, non c’è dubbio. Nei due dischi precedenti è stata sottolineata dai critici una certa aura spirituale nella mia musica: Andrea Trevaini del Buscadero l’ha definita “etereo-folk”! In effetti nella mia ricerca musicale e testuale amo esplorare la relazione tra visibile e invisibile, tra terra e Cielo, tra umano e divino: la natura è proprio ciò che sta nel mezzo ed è dove queste realtà si incontrano e comunicano. La natura è dove abita la vita, la natura è vita. In questo ultimo album lo sguardo ha indugiato un po’ di più sull’aspetto terreno e umano, raccontando un po’ di temi quali la difficoltà nella comunicazione, la vita che scorre nonostante le sue difficoltà, la gratitudine per la vita e lo sgomento di fronte a ciò che la ostacola…uno sguardo sull’esistenza di noi esseri umani, immersi nella natura e con gli occhi rivolti al Cielo.
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