Midsommar – Il villaggio dei dannati: Svezia, inferno o paradiso?

Se nel suo lungometraggio d’esordio Hereditary – Le radici del male Ari Aster aveva affrontato in salsa horror la tematica del dramma familiare attraverso la vicenda di una generazione di consanguinei impegnata a confrontarsi con la morte, le malattie mentali e la violenza psicologica, tramite la sua opera seconda Midsommar – Il villaggio dei dannati si propone di esaminare una vasta gamma di idee, dalla fedeltà personale alle influenze sociali sulle realtà culturali.

E parte da un aspetto autobiografico legato alla rottura di una propria relazione durata tre anni per raccontare la storia dei due giovani americani Dani e Christian, ovvero Florence Pugh e Jack Reynor, i quali, in crisi, non solo sono tenuti insieme esclusivamente dal dolore di una tragedia familiare abbattutasi sulla prima, ma decidono di unirsi ad alcuni amici in un viaggio che ha come meta un festival estivo presso un remoto villaggio svedese.

Ma, mentre – come avvenuto nella citata opera precedente – nell’aria si respira qualcosa del cinema di Roman Polanski, bisogna superare una lunga parte di presentazione per arrivare al primo momento shock dell’insieme, nel corso del quale quella che doveva essere una spensierata avventura estiva nella terra della luce eterna si trasforma in un incubo ad occhi aperti.

Perché tutto comincia a prendere una svolta sinistra dopo che gli abitanti del posto invitano i loro ospiti a partecipare alle festività che rendono il paradiso pastorale in questione sempre più snervante; man mano che si sguazza in mezzo a particolari danze, pasti e bevute rituali.

Quindi, cosa ci aspetta? Sensazione di paura? Sanguinolenti e fantasiosi omicidi da slasher movie, tipici dei lungometraggi che prendono avvio da un gruppo di ragazzi in vacanza?

Nulla di tutto questo, in quanto, al di là di una certa inquietudine che sembra fare occasionalmente capolino durante la fase finale dell’operazione e di un paio di situazioni molto violente, Midsommar – Il villaggio dei dannati non appare altro che in qualità di noiosissimo e tirato per le lunghe (siamo sulle due ore e venti di durata!) rifacimento non dichiarato del cult seventies The wicker man di Robin Hardy, oltretutto già oggetto del pessimo remake Il prescelto con Nicolas Cage.

A testimonianza del fatto che, come già avvenuto per il decisamente sopravvalutato ma superiore Hereditary – Le radici del male, non sono sufficienti una buona tecnica e una lodevole cura estetica (elementi qui tutt’altro che assenti) a rendere un prodotto da schermo meritevole di visione.

 

 

Francesco Lomuscio