Millennium – Quello che non uccide: il ritorno di Lisbeth e Mikael

Se nel 2004 lo scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson ci aveva lasciati improvvisamente orfani dopo aver realizzato la fortunata trilogia di Millennium (formata da Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta), pur di far sì che gli ormai celeberrimi personaggi di Lisbeth Salander e di Mikael Blomkvist continuassero ad appassionare lettori di tutto il mondo, lo scrittore David Lagercrantz ha dato vita a Quello che non uccide, continuazione della fortunata trilogia.

Una continuazione che il regista uruguaiano Fede Alvarez (già noto al grande pubblico per aver realizzato, tra l’altro, il remake de La casa) ha trasposto per il grande schermo in un lungometraggio presentato in anteprima alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, all’interno della Selezione Ufficiale.

Se, tuttavia, i romanzi del compianto Larsson (così come le relative trasposizioni cinematografiche, sia svedesi che statunitensi) avevano complessivamente riscosso diversi consensi, questo ultimo capitolo della saga Millennium fa storcere il naso a molti. Malgrado, infatti, una buona regia e un’ottima resa degli effetti speciali, è proprio la storia portata in scena a lasciare con l’amaro in bocca.

In questo capitolo, di fatto, vediamo una sempre più esperta di informatica Lisbeth Salander (impersonata per l’occasione da Claire Foy) invischiata, insieme all’amico giornalista Mikael Blomkvist (Sverrir Gudnason), in un intricato caso che vede cyber criminali coinvolgere in loschi traffici perfino importanti funzionari governativi. La vita di entrambi, in possesso di importanti dati a riguardo, sarà, così, fortemente in pericolo.

Quindi, nonostante ottimi spunti, una buona regia e l’indiscusso carisma dei protagonisti, Quello che non uccide, in fin dei conti, altro non fa che arrancare stancamente per quasi due ore di visione, a causa di un script pretestuoso e maldestramente intricato che stanca presto anche lo spettatore meno esigente.

Il risultato finale è un prodotto di gran lunga meno incisivo dei precedenti titoli della saga, ma che, grazie a essi, vive debolmente di rendita, pur rischiando di venire presto dimenticato già poco tempo dopo la sua permanenza nelle sale.

 

 

Marina Pavido