MODER: un disco contro il tempo

Direi che una cabina telefonica in copertina è un invito esplicito a questo ritorno alle origini, al tempo di un passato se vogliamo anche recente… è un monito a fermare questa rincorsa quotidiana che poi si traduce in effimera superficialità, di vita e di rapporti umani. MODER sforna un disco di bellezza urbana come si addice al suo rap che questa volta ha derive assai interessanti come nel singolo di lancio “Non ne posso più”. Si intitola “Ci sentiamo poi”, dove collettivismo e collaborazioni hanno il posto che meritano, dove l’oggi è il vero metro di valutazione, dove il suono ripercorre spesso le linee maestre del genere… dove lo stile è portavoce di bellezza.

Noi parliamo spesso di bellezza… per MODER cos’è e cosa significa bellezza?
La bellezza per me è un attimo. L’arte delle volte riesce a catturare dei dettagli di questi attimi e quando succede è un miracolo.

L’estetica nel Rap e in tutto il mondo che arriva dalla strada significa tanto, ha tantissimo peso. Oggi pensiamo al RAP prima passando per un immaginario estetico non trovi?
L’estetica nel nostro mondo era un codice che definiva chi eri, se ci pensi anche negli anni settanta esistevano codici estetici giovanili (i capelli, l’Eskimo ecc..). Poi i tempi sono cambiati e il mondo globale ha trasformato le nicchie in segmenti di mercato, ora i rapper fanno i modelli, disegnano scarpe. Questo negli altri generi è sempre successo solo che il rap è un parvenu rozzo e maleducato: ma ti mette davanti alla verità.
Oggi l’idea del numero e del vincere è un retaggio che purtroppo ci ha insegnato il capitalismo, il rap in alcuni casi combatte o estremizza il tempo che rappresenta, si parla spesso di soldi e vestiti nel rap è vero ma anche nel mondo culturale “alto” (lo dico per esperienza) siamo tutti ossessionati dal successo, dai like. Io provo a portare una visione differente ma non antitetica: un ragazzino che parla di Lean o di vestiti è figlio del suo tempo e lo capisco, come posso lamentarmi di lui quando esiste Del Debbio, Mario Giordano, o la putrefazione dei talk show domenicali?

E secondo te perché questo peso così prepotente dell’aspetto “moda”?
Da Elvis in poi tutta la musica è stata sostentata dal Marketing e dall’immagine, devo dire infatti che la svolta streaming non mi dispiace in una qualche maniera riporta alla musica nuda e cruda, ovvio che il meccanismo è già nelle mani di chi conta ma è comunque un segnale. Credo che serva a tutti, ma sopratutto in adolescenza, specchiare se stessi in dei modelli le icone hanno mosso il mondo politico, figurati il mercato.

Il tuo lavoro invece cerca di eludere il concetto di “moda”… rincorri parole quasi come fosse una sfida tua personale… o sbaglio?
Cerco di fare “canzoni” le canzoni che amo durano nel tempo, la mia sfida è quella. In realtà forse è il contrario cerco di confrontarmi all’esterno come non ho mai fatto prima.

Voglio parafrasare il video di lancio: di cosa non ne puoi più?
Ora di questa prigionia forzata dal coronavirus, diciamo che non ne posso più di tutto quello che non cambia mai ma che andrebbe cambiato, dei “casi” giornalistici, i video virali, la piazza sempre più ammaestrata e compiacente, non ne posso più di non poter pensare a niente di meglio a un SOGNO collettivo vero l’umanità muore sotto le sue stesse invenzioni e ha perso la capacità di ripensarsi, che brutta fine. Non ne posso più di tutto il tempo che perdiamo e che non ci verrà ridato mai.