Mondospettacolo incontra Alessandro Grande, in corsa per l’Oscar con il suo cortometraggio Bismillah

Storia della piccola Samira sullo sfondo della tematica dell’immigrazione, Bismillah di Alessandro Grande è il cortometraggio che, già aggiudicatosi il David di Donatello, rappresenterà l’Italia al premio Oscar.

Ospite presso il Terni Pop Film Festival, abbiamo incontrato il regista

 

Quale necessità hai sentito per girare una storia di questo tipo?

Bismillah nasce dall’esigenza di raccontare un messaggio che va un po’ oltre l’immigrazione, essa è più una cornice che mi offre la possibilità di valorizzare sentimenti universali come la fratellanza o la speranza. L’ispirazione è nata un pomeriggio d’estate, quando ho letto un articolo in cui era scritto che nel 2011 l’Italia aveva registrato il maggior numero di immigrati nella sua storia, circa ventitremila. Il vero dato allarmante, però, era quello relativo al fatto che undicimila vivevano come fantasmi nel nostro territorio, quindi come clandestini. Allora mi sono fatto una domanda: nel momento in cui una persona scappa dall’inferno del proprio paese e, superato il viaggio, tocca nuovamente terra ferma, i problemi sono finiti? Quindi, ho preso casi vincenti, persone che ce l’hanno fatta a vivere da clandestine una nuova vita, senza rischiare la morte. Facendo ricerche, ho capito che c’era anche la paura di denunciare uno stato di salute, perché si attivava in qualche modo un iter burocratico tale da  poter poi sfociare nell’espatrio. Quindi, vivevano veramente nel terrore. Una volta scritta questa storia, mi sono fermato un attimo e ho ragionato nella tematica, perché quella dell’immigrazione è una tematica abusatissima e non volevo raccontare una storia già raccontata da altri.

 

Cosa si prova nel sapere che il proprio cortometraggio è in corsa per l’Oscar?

Questo è un aspetto che carica sicuramente di grande responsabilità tutto l’entourage del cortometraggio. Diciamo che dopo il David di Donatello era scontato, perché chi partecipa alle selezioni agli Oscar è stato scelto da una commissione del proprio paese, mentre i corti partecipano agli Oscar se hanno vinto un premio facente parte del circuito di festival nazionale. Quindi, automaticamente, l’elezione era scontata. Inoltre, questo cortometraggio ha avuto nomination anche in festival che fanno parte del circuito degli Oscar, tra cui il Road Island negli Stati Uniti, il Busan in Corea e l’Encounter, nel Regno Unito, che è anche legato agli EFA. Quindi, l’emozione è grande quando viene ufficializzato questo percorso. Ho sempre visto i premi come un punto di partenza, nel senso che, se si perde il fuoco, facendo scattare meccanismi di presunzione, rischi di non raccontare più nulla. Io ho soltanto affrontato un percorso nel cinema breve, ma ancora devo affermarmi come regista, quindi, prendere ciò come un punto di arrivo sarebbe stato sciocco. È una gratificazione che sta a significare che il percorso è stato affrontato nel migliore dei modi, ma bisognerà fare meglio.

 

Se dovessi passare al lungometraggio, che tipologia di film faresti?

Sicuramente, mi sforzerei di mantenere sempre una libertà, perché quello che ho avuto fino ad adesso è stata la libertà di espressione, cosa che ti garantisce solo il mercato del cortometraggio. Il lungometraggio, invece, ha altre dinamiche che sono più vicine a quello che è il mercato, alla burocrazia, alla produzione, quindi cercherei di portare uno schermo una storia che, sicuramente, convincerebbe prima me di altre persone, ma anche che mi rappresenti. Perché il percorso che ho fatto fino ad ora prevede, comunque, uno sviluppo che va sempre su questa direzione. Poi, magari, posso anche pensare di poter raccontare altro, però, prima, è giusto farlo secondo un percorso che è stato fatto.

 

Quali sono i registi che ti ispirano?

Ce ne sono tanti, amo il cinema del primo Yorgos Lanthimos, di Asghar Farhadi, dei fratelli Dardenne, di Cristian Mungiu. Per quanto riguarda i registi italiani, in questo momento Matteo Garrone, forse, è quello che maggiormente riesce ad entrare in empatia con le mie corde e la mia sensibilità.

 

Francesco Lomuscio