Mondospettacolo incontra Jerry Calà al Terni Pop Film Fest – Festival del cinema popolare

“Buonasera, grazie per questa accoglienza e per questo festival di cinema popolare. Intanto per esserci, perché, di solito, i festival vengono dedicati a quei film che Paolo Villaggio definirebbe come La corazzata Potemkin, invece è bello vederne uno incentrato sulle pellicole che, forse, la gente ama di più. Con questo film ho riunito i miei amici e gli ho detto ‘Dai, facciamo vedere che i Gatti graffiano ancora e possono ancora fare molto ridere’”.

Ospite presso la seconda edizione del Terni Pop Film Fest – Festival del cinema popolare, dove gli è stato conferito un premio alla carriera in occasione della presentazione della sua ultima fatica registica, Odissea nell’ospizio, nel quale torna a costituire i Gatti di Vicolo Miracoli insieme agli storici compagni di comicità Umberto Smaila, Nini Salerno e Franco Oppini, il simbolo della risata anni Ottanta Jerry Calà ha accolto così la stampa, compresi noi di Mondospettacolo.com.

Cosa è popolare oggi nel cinema italiano?

Oggi, secondo me, di popolare nel cinema c’è poco, almeno rispetto alla commedia con la quale sono artisticamente nato io negli anni Ottanta. Noi recitavamo abbastanza a ruota libera nei film, senza tanti pensieri e paure di disturbare qualcuno con le nostre battute. La comicità era molto più libera e, quindi, anche popolare. Oggi, a parte qualche eccezione come Checco Zalone, che se ne frega e, infatti, ha più successo degli altri, secondo me sono tutti un po’ tenuti. Vogliono fare la commedia, ma, allo stesso tempo, cercare di trasmettere un messaggio e strizzare l’occhio al politicamente corretto. Questo fatto ammazza un po’ la commedia genuina che faceva tanto ridere la gente.

 

Stasera ricevi un premio alla carriera. Quanto è cambiato Jerry Calà rispetto agli anni Ottanta?

È bello ricevere un premio alla carriera da vivo, perché di solito ai comici li danno dopo morti (ride). Comunque, io non sono cambiato, se non fisicamente.

 

Ai giovani che oggi vedono i tuoi film, che messaggio dai?

Io non do messaggi, cerco solo di divertire e vedo che anche i ragazzi giovani ridono molto con questi film, perché capiscono che noi, allora, eravamo forse un po’ più spontanei e liberi. Infatti, i nostri film di allora, come Sapore di mare, vengono ancora programmati da alcune reti e, addirittura, in prima serata. Sono diventati cult, tanto che, quando vado a fare i miei spettacoli in giro per l’Italia, trovo un pubblico trasversale dove ho anche tantissimi giovani che vengono a divertirsi con la musica e le mie storie di quegli anni.

 

Quale è stato il momento in cui hai deciso di riunire al cinema i Gatti di Vicolo Miracoli in un quarto film

Qualche anno fa, ci diedero a Verona un premio alla carriera come cittadini un po’ illustri che hanno avuto successo nel mondo dello spettacolo. Allora mi sono ricordato di questa battuta, “Odissea nell’ospizio”, e ho detto che avremmo potuto fare un film in cui ci saremmo collocati in una casa di riposo per artisti dove combinarne di tutti i colori. A parte il titolo da parodia, demenziale, è una commedia molto reale e immersa nell’attualità, in quanto parla anche di malasanità in questa casa di riposo che versa in gravi condizioni perché il direttore, interpretato da Mauro Di Francesco, si è mangiato il budget al gioco. Poi, nella stessa casa di riposo finiscono anche dei profughi ed emergono le diverse reazioni all’accoglienza.

 

Che ricordo hai di Carlo Vanzina?

Di Carlo Vanzina non ho un ricordo, ne ho cento, poi lui c’è sempre nella mia mente perché è la persona con cui ho debuttato nel cinema insieme ai miei amici dei Gatti di Vicolo Miracoli in Arrivano i Gatti, ma anche quella che, a un certo punto, mi disse che il cinema voleva me come protagonista, quindi avrei dovuto decidere cosa fare con gli altri, trovandomi poi costretto a lasciarli. Questo film, quindi, è forse anche un atto riparatorio nei loro confronti (ride).

 

Secondo te, è importante rivalutare questo genere popolare che, come dicevi, sta cambiando?

Secondo me sì. Ultimamente, in Italia si è persa la concezione del genere, o, forse, non vi è mai stata realmente. Soprattutto i critici non hanno ben presente il concetto di genere, mentre, per esempio, negli Stati Uniti un attore come Robert De Niro non si vergogna di interpretare un film come Ti presento i miei, che rispetto a Il cacciatore è tutt’altro. Questo perché c’è la cultura del genere, mentre in Italia se fai un film demenziale i critici ti dicono che sei scemo, ma lo sono loro, che non capiscono.

 

Film drammatici ne faresti?

Ho fatto Diario di un vizio del grande maestro del cinema Marco Ferreri, vincendo un premio della critica a Berlino e dimostrando di saper essere anche molto drammatico, poi non ho fatto il salto definitivo perché credo che nel gusto popolare italiano io sia più un interprete di commedia. E io rispetto il pubblico, faccio ciò che mi indica.

 

Francesco Lomuscio