Mondospettacolo incontra Matteo Rovere, regista de Il primo re

In occasione dell’uscita de Il primo re, nelle sale cinematografiche dal 31 Gennaio 2019, noi di Mondospettacolo.com abbiamo incontrato il regista Matteo Rovere – qui alla sua quarta fatica dietro la macchina da presa – per parlare proprio di questo violento kolossal riguardante la (prei)storia della nascita di Roma.

Da dove viene l’idea di fare un film sulla nascita di Roma?

Mi interessava riprendere il mito fondativo e rivisitarlo alla luce della nostra contemporaneità. La leggenda di Romolo e Remo, pur lontanissima nel tempo, ha qualcosa di molto vicino a noi. Ci parla continuamente, rimandando a una quantità di simboli e significati da interpretare. Ci siamo interrogati a lungo su quello che avremmo voluto esplorare, partendo dal mito, ed è stato su un dilemma centrale che ci siamo concentrati: è amore o hybris ciò che ci fa pensare di poter essere noi gli artifici del nostro destino? È più divino chi si ribella al Dio per difendere l’amore o il Dio che chiede di sacrificare quell’amore?

 

Ti sei avvalso dell’ausilio di qualche gruppo di rievocazione storica per le scene dei combattimenti?

La squadra di stunt si è occupata di tutto: dalla preparazione atletica, allo studio, ai movimenti coreografati. Ci sono stati archeologi come consulenti, ma nessun gruppo di rievocatori, sono tutti stunt man professionisti.

Complimenti per la filologia. Come ti sei documentato per la realizzazione dei costumi, delle armi e delle seppur primitive armature?

Un attento lavoro di ricerca è stato fatto da parte di tutti i reparti per rendere i materiali di scena (il legno usato per le capanne, ad esempio), gli ambienti (la ricerca delle location), le armi (la loro fattura) e le costruzioni (la configurazione dei villaggi) fedeli il più possibile alle ricostruzioni archeologiche dell’epoca.

Il film è recitato in proto latino. Perché questa scelta?

Volevo una lingua che somigliasse alla storia, un suono arcaico che aiutasse lo spettatore a calarsi nella realtà del film. Con un gruppo di semiologi dell’Università La Sapienza siamo arrivati alla costruzione di una lingua che attinge al latino arcaico e che utilizza innesti tratti dall’indoeuropeo, lingua mai realmente parlata ma base di partenza per tutte quelle del ceppo linguistico indoeuropeo che si sono sviluppate.

Il film è molto realistico e, giustamente, non manca di crudezza. Di chi ti sei avvalso per la realizzazione degli effetti speciali?

L’idea che avevo era di una regia che seguisse, nell’impostazione, un film realistico, analogico, fatto di sequenze riprese con luce naturale ma anche tecnicamente complesse, con un uso limitato dei VFX. Gli effetti sono stati ben studiati e calibrati al massimo (le armi, le ferite, il fuoco, l’esondazione) grazie all’esperienza di EDI per l’Italia e di Digital District per il Belgio.

E’ stata semplice la scelta degli attori? quali caratteristiche cercavi nei personaggi che avrebbero dovuto interpretare Romolo e Remo?

Con la casting director Francesca Borromeo abbiamo fatto un lavoro molto accurato, durato mesi. Ci servivano facce e corpi, espressività e fisicità per rendere quello che avevo in mente. Mi serviva un Remo coraggioso, violento, rapido e strategico che si mostrasse amorevole e votato a suo fratello; e un  Romolo fisicamente più debole, ma privo di qualsiasi forma di ambiguità. Borghi e Lapice erano una coppia perfetta, per fattezze fisiche, somiglianza, per talento e capacità interpretativa. 

Per quale motivo hai voluto affrontare un tema sempre rappresentato in chiave mitologica (con la rappresentazione della lupa) in una invece più realistica?
 
Mi interessava il concetto di esperienza: la mia (che stavo immaginando), quella degli attori (che stavano rivivendo un’epoca) e quella del pubblico (che si sarebbe immerso in un mondo ricreato per l’occasione in sala). Non avevo intenzione di sfruttare l’espediente storico per parlare di altro. Volevo calarmi nel 753 a.C. e provare a capire cosa avrebbe agitato Romolo e Remo se fossero stati quei protagonisti lì, a cui avevo pensato.
 
Avete cercato di essere il più fedeli possibile alla trama originale della leggenda di Romolo e Remo, attraverso gli effetti speciali e le ambientazioni originali, ma quali sono state le maggiori difficoltà riscontate durante le riprese? 

I problemi, o meglio, le complicazioni sono state tante: dal piano di lavorazione agli orari sul set, dalla prostetica ai tempi di convocazione degli attori per il trucco, dalla difficoltà di girare su terreni paludosi e impervi alla lunga preparazione delle scene dei combattimenti. Sono serviti l’impegno, la serietà e la disponibilità di tutti. 

A qualche giorno dall’uscita de “Il primo Re” nelle sale, pensi di aver raggiunto quello che inizialmente era il tuo obbiettivo per questo film? 
 
Sì, posso dirmi molto soddisfatto. Il film ha un incredibile gradimento e spero faremo un percorso importante anche all’estero.

Nel futuro prevedi di fare un altro film storico?

Mi piacerebbe molto, è stata un’esperienza creativamente unica.

Angela Myftari