MONDOSPETTACOLO ROCK: FRANK LAVORINO INTERVISTA I “SIREN”

Uscito per Red Cat Records, “The Row” è il debutto discografico di questi 4 ragazzi marchigiani in cerca di gloria. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Cominciamo dalle origini: raccontateci come è partito questo progetto. Come sono nati i Siren?

L’idea è stata mia (Jack Nardini, chitarrista); avevo già collaborato a diversi progetti musicali con gli altri membri, ma sempre separatamente, già dal 2002, in pratica dalle prime “strimpellate”. Solo nel 2012 è nata la band con questa line-up. Io e Samuel siamo praticamente cresciuti insieme, mentre con Mark e Marcus ho frequentato le superiori, quindi conoscevo bene tutti sia come persone che come musicisti e sapevo che insieme sarebbe stata una “figata”. L’idea di mettere su questa squadra mi solleticava già da molto tempo e quando, a Settembre del 2012, rividi Sam dopo cinque anni e gli proposi di formarla lui accettò. Contattai quindi Mark e Marcus, che in quel momento erano impegnati in altri due importanti progetti. Inizialmente furono, comprensibilmente, un po’ riluttanti, ma riuscimmo comunque ad organizzare una prova a gennaio del 2013. Dopo un paio di prove cambiò tutto, le idee erano ben chiare: i primi brani ideati ci suonavano bene; amore a prima vista…

The Row, vostro album di debutto, strizza l’occhio innegabilmente ad un certo tipo di rock americano. È un mix di energia, compattezza e continua ricerca della melodia, di pregevolissima fattura. Da quali spunti siete partiti per la sua realizzazione?

L’intento con “The Row” è stato appunto quello di trasmettere energia senza sacrificare la melodia, a nostro parere due componenti fondamentali di questo genere ma anche un po’ della musica in generale; sicuramente Muse, Foo Fighters e Queens of the Stone Age ci hanno in parte influenzato ma mi sento di citare anche band come System Of a Down, Rammstein e Nirvana che, pur essendo lontane a livello di sound, ci hanno musicalmente cresciuto. Comunque siamo quattro artisti differenti e adoriamo qualunque tipo di musica, questo è probabilmente uno dei motivi per cui, almeno secondo la critica, è difficile classificarci.

Il primo singolo scelto è Dr. Saint, di cui avete realizzato il videoclip che tra ha superato le 400.000 visualizzazione in circa tre  mesi…Che cosa avete voluto descrivere con questo brano?

Dr. Saint è una sorta di personificazione del sistema che osserva e governa la società, con i disastrosi risultati a cui ogni giorno assistiamo e partecipiamo; tutto è presentato in chiave ironica e non catastrofista, rendendo “il dottore” un goffo e buffo personaggio, e gli eventi disastrosi che lo accompagnano un frutto della sua incompetenza e del suo comportamento maldestro e non di mera malvagità, che comunque in parte, come per molti esseri umani, ne caratterizza l’essenza. Non è una vera e propria critica alla società, ma più una descrizione più o meno oggettiva di ciò che ci succede intorno, con una sorta di serena rassegnazione agli eventi.

Oltre al suono, molto curato è anche l’aspetto estetico, come dimostra non solo il videoclip del singolo Dr. Saint ma anche l’artwork di copertina, che forse non a caso ha quella particolare suddivisione /scontro di colori..

I colori sono un riassunto dell’essere umano dove il bianco e il nero rappresentano perfettamente il concetto di bene e male così com’è inteso oggi nel pensiero comune; in natura non esiste questo concetto, usando una definizione pressapochista “tutto è relativo”. L’attribuzione dei colori agli elementi è stata fatta puramente per fini grafici (la città, in nero nell’artwork, non è intesa come il male per esempio).

Una grande prevalenza di rosso tra le altre cose sulla copertina e nel video….significati reconditi ?

Il rosso vuole, banalmente, rappresentare il sangue, la morte che tutto regola:  al suo cospetto il bene e il male perdono il loro, già labile, significato.

Un brano come “Falling Down”, per esempio, è rock ma con uno strumento come il violino piuttosto in evidenza. È una cosa che succede spesso durante il disco, quella di dare un ruolo importante a strumenti solitamente messi in secondo piano.

Non ci piace limitare la musica solo perché secondo i canoni comuni, nel nostro genere non dovrebbero esserci determinate sonorità. Se una cosa ci sembra che possa suonare, noi la proviamo, con dei simulatori, e se ci piace… è fatta!

Delle 11 tracce che compongono “The Row” quale vi rappresenta maggiormente?

Non c’è un brano univoco, ognuno di noi ha il suo preferito e per nessuno è lo stesso; ciò la dice lunga su quanto siamo sempre poco d’accordo, su praticamente qualunque cosa, anche sui brani, che vengono sì composti “democraticamente” ma di tanto in tanto con una numerosa serie di litigate, anche piuttosto violente. In fondo in fondo, però, ci vogliamo bene. Comunque, tornando ai brani: Samuel adora “Wave”, che è uno dei brani più introspettivi di “The Row”: ha un testo ricco di sentimenti contrastanti che rappresentano a pieno un momento difficile della sua vita; il brano preferito di Jack invece è “Carpet”, perché è sfacciata e provocante sia nel sound che nel testo; Marcus, invece, preferisce “Dr.Saint”, perché ama particolarmente suonarla e le contraddizioni che la caratterizzano (descrive in modo quasi scherzoso i gravi problemi che affliggono la società); infine per Mark è “Love Is Gone” poichè la parte strumentale del brano descrive al meglio il suo modo di essere e di suonare.

Una delle tante recensioni che il disco ha ottenuto recita: “i Siren sono la promessa del futuro del rock italiano, quello tosto…”. Voi cosa rispondete?

Grazie, ci fa molto piacere, ma, modestia a parte, lo sapevamo già! (risate). Comunque, il feedback è stato estremamente positivo sia da parte della critica che del pubblico, quindi probabilmente abbiamo lavorato nel modo giusto e questo ci riempie di orgoglio e soddisfazione.

Vi piace leggere una recensione su di voi solitamente? Bisogna essere un po’ esibizionisti per fare questo lavoro?

Certo, anche perché sono state quasi tutte estremamente positive ed è sempre piacevole vedere dei punti di vista differenti, sicuramente sono momenti formativi. Ovviamente ciò che creiamo non vogliamo tenercelo per noi ma condividerlo con più gente possibile, quindi, si , siamo degli esibizionisti.

Gruppi del vostro paese o della scena underground degni di nota invece?

In realtà ascoltiamo prevalentemente musica inglese o americana, a parte i nostri grandi cantautori (De André, Battisti, ecc.), siamo cresciuti a pane e System of a Down, quindi non ci sono state band italiane degne di nota per la nostra formazione.

Ma i Siren che persone sono al di fuori della musica?

Siamo nella musica esattamente come al di fuori: Jack è un nevrotico bastardo; Sam un anarchico tendente al bipolarismo; Mark un simpatico introverso a rischio suicidio e Marcus… per fortuna c’è Marcus. Fondamentalmente siamo da evitare (risate).

Prima di salutarci, lasciateci i vostri riferimenti web.

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Ciao a tutti, è stato un vero piacere fare questa chiacchierata. Stay Rock!

F.L.