Moonfall: Roland Emmerich stregato dalla luna

La Luna che cambia rotta e punta verso la Terra è la premessa alla base di Moonfall, pop corn movie dal contesto spaziale diretto dal tedesco Roland Emmerich, legato a successi quali Independence day, Stargate e The day after tomorrow – L’alba del giorno dopo.

Di questo improvviso e pericoloso cambio di rotta si rende conto il complottista appassionato di astrologia K. C. Houseman, ovvero John Bradley, al quale, però, nessuno intende credere. Ad esclusione della ex astronauta Jo Fowler e del collega Brian Harper, rispettivamente interpretati da Halle Berry e Patrick Wilson.

Destinati a scoprire che qualcosa di malvagio si nasconda dietro il tragico evento che potrebbe portare il pianeta alla distruzione, s’imbarcano di conseguenza in una missione in mezzo alle stelle; collocando Moonfall nella schiera di lungometraggi che Emmerich concepisce con la principale intenzione di intrattenere il pubblico a suon di effetti visivi, quindi quando mette da parte le sue parentesi dedicate ad un cinema più serioso (pensiamo a Il patriota, Anonymous e Stonewall). Affidandosi in determinate occasioni, però, a script non troppo digeribili.

Proprio come avviene in questo caso, se pensiamo sia alla assurda spiegazione del disastro causato dalla Luna in movimento che a situazioni di suoi film precedenti che il regista ripropone anche con una certa sfacciataggine. Eppure, nonostante i suoi numerosi difetti e l’incapacità di risultare originale o epocale, Moonfall non irrita più di tanto se preso per la piacevole e innocua sciocchezza ad alto budget quale è; proprio come va’ preso il cinema spettacolare di Emmerich, in grado di fare la storia del giocattolone in fotogrammi mettendo in piedi l’invasione aliena di Independence day, ma anche di inorridire lo spettatore proponendogli l’insopportabile tardo sequel Independence day – Rigenerazione.

Quindi, non siamo dinanzi ad una prova indecente emmerichiana, ma, tra una Berry visibilmente ritoccata in digitale, un Patrick Wilson in vacanza premio, un Bradley cui spetta il comparto ironico del caso, nonostante il suo di personaggio risulti essere quello su cui maggiormente ruota l’esile storia, e un Donald Sutherland che, in vena di partecipazione straordinaria, ci si chiede cosa l’abbia spinto a prendere parte all’operazione, possiamo soltanto limitarci ad affermare che le oltre due ore di visione non si limitano altro che a fornire orgogliosamente senza vergogna uno spettacolo da guardare a cervello spento.

 

 

Mirko Lomuscio