Il suo è un suono decisamente attento ai cliché del pop moderno, quello liquido, digitale. È un punto fermo dentro liriche che non sono mai troppo scontate nelle soluzioni. È quel che si definisco un punto di confine lungo il quale ci ritroviamo a parlare di cosa sembra e di cosa in fondo rivoluziona. Parleremo di bellezza in questo esordio firmato da Federico Bottini ovvero MyalOne… si intitola “Due anime”, tempo digitale di frenesie e attese, di lunghe pennellate che in fondo, ve lo prometto nonostante il suono delle macchine, sono fatte a mano libera.
Noi iniziamo sempre parlando di bellezza. Per te la vera bellezza qual è?
La vera bellezza, per me, non risiede solo nell’estetica patinata, ma nella coincidenza perfetta tra forma e sostanza: quando l’immagine che vedi, la melodia che senti, e il messaggio che trasmetti, si fondono in un unico respiro emotivo. È la bellezza che nasce dal contenuto, non solo dall’apparenza
E come pensi di averla raggiunta? Come la riconosci?
La riconosco quando provo quella strana meraviglia – un pizzico di agitazione mista a sorpresa – mentre suono, scrivo o guardo il video. Non è un colpo d’occhio istantaneo, ma un sentire, un’armonia interiore tra ciò che voglio dire visivamente, musicalmente e emotivamente.
Estetica contro contenuto: un tema annoso e immortale. “Due anime” sfoggia tanto gusto estetico. Come ti rapporti nella gestione di questi due poli – spesso estremi?
In “Due anime” ho cercato proprio di farli dialogare, non scontrare. L’estetica c’è – e ammetto di amare immagini curate, coreografie, un’estetica studiata – ma sempre al servizio del contenuto. Se l’immagine è troppo bella, ma vuota, perde senso; viceversa, un contenuto potente può diventare più efficace se ben confezionato.
Nel video la bellezza diviene giovane, diviene danza, diviene forma del corpo che si muove. Che significa per davvero?
Per me, la danza incarnata nel video non è mero movimento: è linguaggio. Il corpo parla – racconta tensioni, emozioni, contrasti. Muoversi racconta quello che la parola non contiene: è la forma visiva della confessione musicale, un’estensione corporea del disco.
Parli di questo disco come di una confessione… è servito molto a te o ancora lo utilizzi per centrare il tuo equilibrio?
È stata una cura e un ascolto per me stesso. Mettermi a nudo serviva innanzitutto per stare meglio, per trovare un equilibrio. Ma anche adesso che il disco è fuori, lo sento ancora una bussola: mi riporta sempre a quell’intenzionalità emotiva, a quella voglia di non tradire più me stesso.
Il suono? Quanto somiglia a quello che sei e quanto alle mode che imperano?
Il suono è autenticamente mio, frutto di anni passati tra trap, neomelodico e hip‑hop. Non ho cercato di rincorrere le mode, ma di inserirle nel mio universo estetico quando permesse alle emozioni di emergere. È una questione diequilibrio intelligente: tra quello che sono, e quello che oggi “suona” – ma sempre rimanendo coerente.
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