Estetica dell’io in tutto e per tutto. Franco Naddei oggi diventa cacciatore di mostri, che sono i fantasmi che lo contaminano ma anche i suoi grandi pilastri d’arte e di personalità che lo ispirano. Li insegue e li celebra in questo nuovo lavoro personale, firmato NADDEI, dal titolo “Mostri”: ha scelto 5 grandi brani del recente passato, ha scelto i CCCP, De André, Battiato, Tenco e Ciampi. Ha scelto di rivisitarne l’estetica ma non l’anima, ha pensato bene di codificarli con il suo mood quasi gotico, di una elettronica poco invasiva e decisamente intima di spazi e di dinamiche. Ha deciso di pubblicare questa “anteprima” di quel che sarà il nuovo fronte artistico di Francobeat. Eh si: è così che lo conoscevamo. E questo “antipasto” ci piace davvero tanto…
Noi parliamo molto di estetica come potrai capire subito guardando quanta bellezza c’è nel nostro magazine. Ma non solo quella estetica di un bel corpo, anche quella spirituale di un’opera d’arte. La bellezza: per Naddei cosa significa?
Una domanda da niente la tua! La codifica dei concetti astratti è difficile, è come tenere ferma una anguilla. Nel momento in cui tenti di codificarli ti sfuggono, mutano, sembra quasi non vogliano farsi cogliere. Anche questo forse è parte del concetto di bellezza. Non esiste una bellezza universale proprio perché la bellezza ha bisogno di uno specchio per rivelarsi e splendere, e ognuno di noi è uno specchio a se stante.
Il mio specchio riconosce la bellezza nelle piccole cose di tutti i giorni forse più che nel contemplare la bellezza quando è imponente e sfacciata.
La bellezza è quella cosa che ti fa venire un brivido, un sorriso, una lacrima, un batticuore, a volte anche un senso di fragilità, quella che ti lascia abbandonato ma in un luogo sicuro dove sai di essere protetto.
Diciamo che non è un concetto ad appannaggio esclusivo dell’arte, la bellezza è ovunque, siamo noi a doverla scoprire e per farlo dobbiamo tenere il nostro specchio pronto e pulito, tenere le antenne dritte per captarla, gli occhi aperti per vederla, le orecchie pronte ad ascoltarla.
Come vedi al concetto astratto ho associato immagini astratte che forse neanche si son capite bene ma ci ho provato!
E quindi veniamo anche al concetto di estetica perché questo tuo nuovo lavoro raccoglie canzoni che hai scelto perché l’estetica – non quella superficiale ma quella spirituale – aderiva al tuo bisogno di espressione. Non è così?
Ho scelto le canzoni in base al testo. Non mi sono curato tanto della parte musicale a cui erano originariamente accompagnate. Inizialmente il progetto voleva andare a pescare tutte quelle canzoni in cui l’autore era stato in grado di sovrapporre totalmente la sua esperienza di vita a quella di artista e cantautore senza filtri, spietatamente e sinceramente anche quando gli argomenti da raccontare potessero essere stati scomodi e volgari nella loro brutale sincerità. Nella ricerca mi sono accorto che nella forma canzone, in realtà, quasi tutti i grandi cantautori sono ricorsi alla poesia, alla metafora, a tratti alla scrittura di storie inventate e magistralmente raccontate. Questo tipo di estetica, nella forma canzone italiana, è assai diffusa e di certo non condannabile. Semplicemente credo che una canzone scritta oggi debba essere diretta e poco interpretabile, non deve lasciare troppo spazio a fraintendimenti e nemmeno sacrificare la possibilità di evocare immagini.
E’ chiaro che sarebbe trovare il Sacro Graal della scrittura contemporanea ma quantomeno voglio pensare come trovare il modo di raccontare le mie storie dato che in passato spesso ho commesso lo stesso errore addirittura varcando le porte del surrealismo.
Nella mia vita artistica precedente ho scritto testi ispirandomi ai surrealisti ed invece venivo paragonato al filone demenziale. Questo mi ha imposto di cambiare rotta, almeno nei riferimenti. Quando ho fatto “Mondo fantastico” musicando testi di Gianni Rodari, che per me è uno dei nostri più grandi autori italiani nonché surrealista, ho tentato proprio di stabilire riferimenti più autorevoli alla mia passione dato che probabilmente non ero stato in grado di farmi capire proprio su questo piano estetico.
Ad ogni modo con “Mostri” ho scelto la via del lasciarmi raccontare da altri. Tutte le canzoni le ho provate su me stesso prima di finirle. Alcune le ho anche salutate educatamente perché non ci eravamo trovati. Lavoro con l’elettronica che posso suonare in tempo reale, senza computer. Con un sintetizzatore, una batteria elettronica ed un microfono ho esplorato l’emozione che mi veniva trasmessa e così sono andato avanti.
Il resto è venuto da sé, istintivamente mi sono ritrovato con canzoni di autori diversissimi che sembravano tutte mie. Almeno questo è l’effetto che hanno fatto a me una volta riascoltate dalla giusta distanza.
Dopo tante piccole e grandi collaborazioni, dopo tante scritture e tante trasformazioni, oggi chi è Naddei?
Naddei è un uomo maturo che ne ha passate tante. Sono ormai più di 25 anni che lavoro nella musica e fortunatamente nella mia strada ho incontrato moltissimi artisti talentuosi e meravigliosi che in molti casi sono anche diventati cari amici. Non sto qui a fare elenchi ma sono grato a tutte le persone che ho incontrato per quello che mi hanno fatto vivere. Per mia grande fortuna mi sono spesso trovato in progetti interessanti, rischiosi, grandi e piccoli ma tutti con il denominatore comune della qualità.Tutta questa esperienza accumulata, oltretutto non solo in ambito strettamente musicale ma anche teatrale, fa di me quello che sono oggi. Rispetto talmente tanto la musica che nonostante il tempo passato, e le alterne fortune, ho ancora voglia di dire la mia. Poi con l’età spero di trovare un equilibrio migliore che in passato proprio per continuare a trovarmi in situazioni stimolanti.
Ho ritrovato l’elettronica, il mio primo amore, e continuerò su questa strada. E’ il linguaggio con cui ho cominciato e col quale ho tanto sperimentato in passato, là dove fare elettronica era anche un gesto di fine artigianato e continua ricerca nel superare i limiti tecnici che oggi, computer alla mano, sono decisamente inferiori se non nulli.
Ad ogni modo è sempre l’inventiva che governa la macchina, sia nel stabilirne i limiti sia nel darsi la possibilità di lasciarsi spazio e tempo necessario per comporre senza schiavitù. Sono tanti quelli che fanno elettronica oggi che si lasciano guidare dalle pre-scelte infinite che si trovano nei software per far musica. Io rimango artigiano, cerco l’errore anche col computer. Tornando alla domanda di prima anche nell’errore trovo spesso la bellezza.
Ma Francobeat tornerà mai in scena? Che cosa gli hai rubato e ancora usi oggi per la tua musica?
Francobeat lo ritengo un capitolo chiuso, non fosse altro per il fatto che ho scoperto di avergli fatto fare qualcosa di bello ed articolato: la trilogia della fantasia. Nei 3 dischi fatti a suo nome ho affrontato sempre il tema della fantasia e della libertà di esprimerla. In “Vedo beat” c’era la fantasia surreale ed istintiva della beat generation italiana, in “Mondo fantastico” quella strutturata ed autorevole di Gianni Rodari, in “Radici” quella totalmente fuori controllo dei disabili mentali della residenza “Le radici” di San Savino a Riccione.
Proprio questo ultimo episodio mi ha fatto capire che il percorso era compiuto.
“Radici” è stato forse il disco più bello di Francobeat ed è giusto chiudere in bellezza (questa parola ritorna in questa intervista!). Dopo quelli che si possono definire tre concept album ho deciso di lasciare spazio al sound più che ai concetti.
Francobeat era una specie di figliastro di David Byrne, tanti generi musicali al servizio del gioco nel comporre musica. Ed è proprio l’elemento gioco che accomuna Naddei a Francobeat. Naddei si è preso il lusso di giocare con Ciampi, De Andrè, Tenco, Battiato e via dicendo gli altri che compongono “Mostri”. Li ho portati sulla pista da ballo, per certi versi, e in generale in luoghi sonori che probabilmente non avrebbero mai abitato. Nel gioco ho trovato la mia dimensione che sarà la base di partenza per i miei lavori futuri. Sarà molto difficile comporre brani originali dopo aver cantato questi mostri, ma lo farò con tutta la sincerità del caso.
E tornando a parlare di estetica ci piace particolarmente la copertina di questo lavoro. Ce ne parli?
Sono molto contento che vi piaccia. Riferirò a mio figlio! Quel disegno lo fece un paio di anni fa quando aveva 9 anni. Avevo già iniziato a lavorare al disco chiamandolo così e non so se abbia preso spunto nel vedersi le mie prove di ascolto in giro per casa e per la macchina con la scritta “Mostri”.
A me piacciono molto i suoi disegni e li conservo tutti sin da quando era piccino, comprese le tovagliette di carta dei ristoranti in cui spesso faceva disegni nell’aspettare il cibo.
Fatto sta che un giorno nel raccogliere i suoi disegni sparsi in giro ho trovato questo e mi è sembrato perfetto!
Che poi tutto questo è il preludio di…
Un disco di inediti. Non so se ha senso stampare dei dischi fisici ma sicuramente ha ancora senso scrivere canzoni, ed è quello che ho intenzione di fare. Spero che questi “Mostri” mi influenzino benevolmente. La mia visione della musica è che debba essere creata per il futuro e non per il presente come mi pare accada oggi là dove i dischi e gli artisti durino il tempo di un soffio.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.