A due giorni dal 27 Gennaio, giorno della memoria, vogliamo tornare a parlare della Shoà.
Noi di MondoSpettacolo non lo abbiamo fatto. Volutamente.
Oggi è un giorno qualunque, e la nostra memoria è già sopita; ha già scordato e riposto le immagini col filo spinato nel cassetto. Abbiamo scritto frasi toccanti sui social network, e fino al prossimo , siamo a posto con le nostre coscienze.
Cos’è stato davvero l’Olocausto ? Com’è stato possibile che sia accaduto tutto ciò? Chi sapeva?
Lo abbiamo voluto chiedere a qualcuno che l’argomento lo conosce a fondo.
A parlarcene è Cesare Del Monte , membro della Comunità Ebraica di Roma.
Non sarà un’intervista la mia. Lascerò che la storia, e Cesare, parlino senza essere interrotti.
Ecco cosa Cesare Del Monte ci racconta della Shoà.
Il 27 gennaio di ogni anno, in occasione della Giornata della Memoria, la domanda che si sente con più frequenza è come sia stata possibile la Shoà.
La domanda denuncia l’insufficienza e il formalismo delle celebrazioni.
Quando dico insufficienza, non mi riferisco certo al tempo dedicato dalle Istituzioni o dai media. Mi riferisco alla piattaforma delle iniziative che, spesso e volentieri, sono solo l’esibizione dolorosa ma sterile della realtà dei Lager.
Ciò che difetta, è l’analisi storica di ciò che è accaduto. Ma, e soprattutto, manca il coraggio di affrontare il tema in maniera sincera e senza tabù.
Non si può presentare la Shoà come il doloroso risultato di una follia circoscritta a quella generazione e alla Germania.
Per comprendere storicamente la Shoà occorre fare un balzo indietro nel tempo di almeno 18 secoli. Solo così sarà possibile capire perché tanto odio e tanta violenza.
In tutto il Medioevo in Europa è esistita una cultura egemonica, onnivora che bollava come “eresia” ogni deviazione, che non aveva alcun rispetto per le diversità.
Fra tutte, l’ebraismo è stata quella più disprezzata. Perché? Perché ha sempre rifiutato l’abdicazione dal sé. Non ha mai accettato, neanche quando si è tentato di imporlo con la forza, di rinunciare alle proprie tradizioni, alle sue credenze, ai suoi riti.
Ha sempre rifiutato l’omologazione e, per questo, è stato visto con sospetto e, di conseguenza, odiato.
Questo sentimento si è tanto radicato nella coscienza europea che, quando il pensiero si è evoluto, l’antisemitismo, che ormai era parte del DNA ideologico e, quindi, lo ha attraversato orizzontalmente ed è diventato un triste patrimonio comune.
Di atti di violenza antiebraica se ne registrano moltissimi sin dall’Alto medioevo.
Sono stati costretti a forza a lasciare l’Inghilterra,la Spagna, il Portogallo ed altre nazioni.
I Crociati, ad esempio, hanno cancellato, sul filo di spada, intere comunità ebraiche in Europa.
Nei paesi dell’Est del continente, ci sono stati centinaia di pogrom nel corso dei quali venivano barbaramente assassinati centinaia di uomini, donne e bambini ebrei che rifiutavano la conversione.
I primi pensatori del socialismo o dell’anarchismo, scrivevano libelli antisemiti.
In questo contesto, il Nazismo ha potuto trovare terreno fertile quando ha proposto la questione ebraica addirittura sotto il profilo biologico.
La specialità della Shoà, dunque, è solo nei numeri e nei mezzi. Sino ad allora, infatti, non era stato mai pianificato in maniera così industriale lo sterminio degli ebrei, né si era proceduto alla deportazione in massa di intere comunità in campi attrezzati per lo sterminio.
Ma, a parte questo, molti metodi applicati dai nazisti sono stati mutuati dal passato.
Il distintivo giallo, il divieto di contrarre matrimonio con soggetti “ariani”, di svolgere talune professioni, il ghetto, sono tutte istituzioni che precedono di secoli l’avvento del nazismo.
Quando si celebra il Giorno della Memoria bisogna avere il coraggio di cercare e di individuare le radici dell’odio.
Una volta compresa la natura e l’origine dell’antisemitismo, bisogna denunciare le complicità esterne al regime hitleriano.
Quando raccontiamo la storia di quegli uomini o quelle donne che noi ebrei definiamo Giusti, Schindler o Perlasca, tanto per citarne due fra i più famosi, dobbiamo anche riflettere sul fatto che si potevano salvare gli ebrei e non è stato fatto.
Senza la complicità o il silenzio complice delle popolazioni, non sarebbe stata possibile la deportazione degli ebrei.
Mentre in Danimarca la popolazione civile si oppose ai provvedimenti razzisti, in Poloniala Resistenzarifiutò di combattere i nazisti invasori al fianco degli ebrei. Ne derivò che molti ebrei danesi trovarono rifugio e salvezza in Svizzera, mentre quelli polacchi furono sterminati.
Nel maggio del 1939, 937 ebrei salparono con una nave da Amburgo in cerca di asilo. Dopo il rifiuto di molte nazioni, la nave fece ritorno in Germania e i passeggeri furono deportati nei campi, dove trovarono la morte.
Il 16 ottobre del 1943 furono rastrellati più di 1.000 ebrei romani.
I nazisti li trattennero per due giorni prigionieri nella zona dell’orto botanico, vicino il carcere di Regina Coeli, perché temevano la reazione della cittadinanza, della Chiesa, della Resistenza.
Dopo 48 ore di assoluto silenzio gli ebrei furono deportati nei lager. Alla fine della guerra ne tornarono soltanto 16. Gli altri erano stati trucidati.
Non si può e non si deve continuare a dividere il mondo di quegli anni in cattivi (i nazisti) e i buoni (tutti gli altri).
Queste, e molte altre storie insegnano che gli ebrei potevano essere salvati.
Non è, poi, vero, che in Italia l’antisemitismo è stato imposto dall’alleato nazista.
Nell’agosto del 1924, la rivista cattolica “Vita e Pensiero” così commentava la morte per suicidio del Prof. Felice Momigliano, filoso e socialista: “… Ma se insieme con il positivismo, il socialismo, il libero pensiero, e con Momigliano morissero tutti i giudei, che continuano l’opera dei giudei che hanno crocefisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione, ancora più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l’acqua del battesimo”. A scrivere queste righe non fu un giornalista o un sacerdote misconosciuto. L’articolo portava la firma di Agostino Gemelli, lo stesso al quale ancora oggi è intitolato il Policlinico dell’Università cattolica di Roma.
Nel giugno del 1937 i gesuiti della rivista italiana “Civiltà Cattolica”, scrivevano che con la minaccia di persecuzioni moderate, che risparmiassero i giudei passati al cristianesimo, sarebbe stato possibile accrescere il numero delle conversioni.
Questa era la posizione di molta parte degli intellettuali cattolici.
E poi i delatori che “vendevano” gli ebrei ai nazisti, il silenzio complice di chi li vedeva partire e non ritornare, gli Alleati, che hanno per molto tempo rifiutato di bombardare le linee ferroviarie che portavano i carri nei campi.
Sono certo che, quando con l’onestà intellettuale che si deve alle vittime,la Shoàverrà correttamente inserita nel suo contesto storico e sarà fatta chiarezza sulle responsabilità collettive ed individuali, quando si comprenderà che fra il nero e il bianco vi è stata una moltitudine di gradazioni di grigio, allora troverà risposta la domanda “come è potuto accadere”.
Quanto ci racconta, Cesare del Monte, mi lascia senza parole,e con un forte senso di vergogna addosso.
Penso ogni giorno di più che il male più grande che questo Pianeta ha , è l’umanità stessa.
Ringraziamo per questa sua preziosa testimonianza Cesare Del Monte , e concludo con un passo che mi è impossibile non citare.
“Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.
E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno. “
SE QUESTO E’ UN UOMO – Primo Levi
Federica Quaglieri
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.