Nevermind: mix di commedia surreale e grottesca con accenti fantasy per Eros Puglielli

Per il redivivo Eros Puglielli, cinematograficamente parlando, il 2019 è stato un anno particolarmente prolifico. Lontano dal grande schermo dalla bellezza di quattordici anni, ossia dai tempi di AD Project, per dedicarsi attivamente alla serialità televisiva, il regista capitolino ha visto ben due opere per il grande schermo approdare nelle sale nella stessa stagione.

Ovviamente, trattandosi di progetti di natura e confezione differenti, all’uno e all’altro sono toccati destini distributivi opposti. Se a Copperman è andata in un verso, per Nevermind il percorso scelto va in un’altra direzione.

Di quest’ultimo, infatti, dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2018 e una manciata di apparizioni nel circuito festivaliero dentro e fuori dai confini nazionali, si erano perse le tracce, almeno fino a quando la Minerva Pictures ha deciso di programmarlo in pienissima stagione balneare. Meglio di niente verrebbe da dire, perché chi si accontenta gode, almeno in parte. Per il lungometraggio scritto e diretto da Eros Puglielli, evidentemente, era il massimo che si potesse fare.

Del resto, Nevermind ha nel proprio DNA un mix di elementi non facili da fare coesistere, che lo rendono un prodotto di non facile collocazione nello schematico e lineare mercato nostrano. Trattasi di una versione 2.0 di quello che nel glorioso passato si chiamava film a episodi, che tante soddisfazioni e sorprese ci ha riservato nei bei tempi che furono.

Il film segue le vite di cinque persone stravolte da situazioni sconvolgenti e paradossali: un avvocato con un’abitudine “molto” particolare; una babysitter alle prese con un nuovo inquietante lavoro; un vecchio amico d’infanzia dal torbido presente; un cuoco con un’ossessione che non gli dà tregua e uno psicologo perseguitato da un carro attrezzi. Situazioni folli e ai confini della realtà, raccontate in altrettanti capitoli (con prologo ed epilogo al seguito), collegati tra loro attraverso una serie personaggi in comune.

Puglielli e i compagni di sceneggiatura (Giulia Gianni, Antonio Muoio e Francesca Sambataro) guardano a I nuovi mostri, per poi costruire un mash up che consegna allo spettatore di turno sfumature surreali e grottesche, intervallate da improvvisi spunti fantasy che ci riportano agli anni di Tutta la conoscenza del mondo. Il tutto per dare forma e sostanza a un insolito, ma discontinuo nell’economia globale della scrittura (riuscitissimi i capitoli della babysitter e del cuoco), intreccio di vite all’insegna dello humour corrosivo e politicamente scorretto. Modus operandi che non sempre riesce a punzecchiare il pubblico a dovere e con lo stesso tasso di cinismo e cattiveria. Frequenti, in tal senso, sono le frenate che ne attenuano la ferocia.

Proprio la discontinuità che trapela negli episodi non permette a Nevermind, nella sua interezza, di reggere l’urto delle quasi due ore di fruizione. Alti e bassi, anche stilistici, la rendono più evidente, con Puglielli che sembra dare il massimo quando veramente stimolato e ispirato visivamente. Guarda caso sempre nei due episodi più riusciti, quelli già citati della babysitter (dove sfoggia un interessante gioco di focali grandangolari al limite del fish-eye) e del cuoco (con un VFX di buona fattura).

Ciò che resta è un tentativo di riproporre una formula episodica che negli ultimi decenni ha visto pochissimi esempi degni di nota, tra cui Vieni a vivere a Napoli e Il racconto dei racconti. Che sia una formula ormai in disuso nel panorama cinematografico italiano e destinata al letargo fino a periodi più fecondi? Probabilmente sì.

Francesco Del Grosso