No time to die: un Bond da Corona…virus!

Quinta e, a quanto pare, ultima delle avventure cinematografiche dell’agente segreto James Bond interpretate da Daniel Craig, prima ancora di omaggiare Solo per i tuoi occhi nel mostrare il protagonista in visita alla tomba di Vesper Lynd alias Eva Green è attraverso una sequenza dal sapore quasi horror che apre No time to die.

Sequenza che, riguardante mamma e figlioletta aggredite in casa da un individuo il cui volto è celato dietro una maschera bianca, non è comunque l’unica dell’insieme a possedere il respiro dei brividi da grande schermo.

Ma, procedendo in ordine, se dopo i titoli di testa accompagnati dalla non troppo esaltante title track cantata da Billie Eilish ci si sposta a cinque anni più tardi, in anticipo rispetto ad essi abbiamo già un lungo e altamente spettacolare prologo a base di fughe in moto, sfreccianti automobili in azione e pallottole volanti sul suolo di Matera.

E il plot s’incentra semplicemente sull’ormai ex spia britannica che, ritiratasi dal MI6, intraprende una missione finalizzata a portare in salvo lo scienziato rapito Valdo Obruchev, ovvero David Dencik; man mano che il villain di turno si rivela essere Lyutsifer Safin, un tempo affiliato della Spectre e adesso terrorista in possesso di armi estremamente distruttive intento a scatenare un pericolo a livello mondiale.

Il Lyutsifer Safin cui concede anima e corpo un Rami Malek che, a proposito di horror, manifesta un inquietante look quasi vampiresco, facendo il paio con il Blofeld privo di occhio destro incarnato per la seconda volta da Christoph Waltz.

D’altra parte, non mancano neppure una strage durante una festa a Cuba e uno scontro immerso in un nebbioso bosco nel corso di No time to die, probabilmente uno dei maggiormente cupi (se non il più cupo) Bond movie di sempre; complici oltretutto i memorabili duelli verbali tra i citati Malek e Craig che non sembrano nascondere un certo (retro)gusto bergmaniano.

Per non parlare del fatto che, mentre la quota rosa dell’operazione viene affidata a Léa Seydoux, Ana de Armas e Lashana Lynch rispettivamente nei panni della Madeleine Swann interesse amoroso del caro vecchio James, dell’agente CIA Paloma e della nuova 00, risulta praticamente impossibile non individuare forti assonanze tra la minaccia al centro del film e quella reale relativa al Coronavirus.

Minaccia che il Cary Joji Fukunaga autore del Jane Eyre con Mia Wasikowska sfrutta a dovere dietro la macchina da presa per accentuare il dramma di fondo di un elaborato che, tra immancabili rivelazioni e l’intera situazione finale sull’isola mirata a richiamare quella analoga del capostipite Licenza di uccidere, spinge lo spettatore a chiedersi se tutti viviamo per lasciare qualcosa ai posteri.

Con un rallentamento del ritmo narrativo nella seconda parte che, se da un lato tende a rendere No time to die meno incalzante rispetto all’ottimo Casino Royale di Martin Campbell, dall’altro non lo fa distanziare in fatto di resa qualitativa generale dal comunque riuscito Skyfall di Sam Mendes.     

Tanto più che il valido montaggio di Tom Croos ed Elliot Graham contribuisce a rendere decisamente scorrevoli le oltre due ore e quaranta di visione… fino alla sofferta fase conclusiva di quello che, chiudendo in maniera commovente e nostalgica sulle note della All the time in the world di Louis Armstrong già colonna sonora di Al servizio segreto di Sua Maestà, rimane senza alcun dubbio uno dei migliori lungometraggi dedicati all’asso dello spionaggio nato dalla penna di Ian Fleming.

 

 

Francesco Lomuscio