Nowhere special – Una storia d’amore: l’attimo fuggente del rapporto padre-figlio

Dopo Still life, incentrato sulla capacità di congiungere il rigore del lavoro di sottrazione al colpo d’ala della forza immaginifica per approfondire l’idea di natura morta attinto in merito al titolo dalla valenza metaforica, Uberto Pasolini torna dietro la macchina da presa con Nowhere special – Una storia d’amore.

Raccontando lo stream of consciousness di un aitante e silenzioso lavavetri irlandese che, prima di coniugare la vita all’imperfetto, consapevole di avere il tempo a sfavore, deve cercare un’altra famiglia per il figlioletto d’appena quattro anni.

La moglie li ha abbandonati entrambi. E, se non fosse per determinate scelte espressive (quantunque dapprincipio il mix di rigore ed emozione sa parecchio di déjà-vu; inoltre, prima dell’epilogo, l’immagine dello specchio deformante del luna park sembra attinta in chiave elegiaca a una celebre scena realizzata da Charlie Chaplin ne Il circo), le componenti manieristiche avrebbero il sopravvento. Finendo per invalidare persino l’asciutta, essenziale, sensibile ed evocativa analisi degli stati d’animo col ricorso ad astuzie lacrimose, che spingono gli spettatori a tirar fuori il fazzoletto a ogni piè sospinto sulla scorta del risparmio di qualsivoglia dispendio di fosforo. È un cinema quindi di pensiero quello di Uberto Pasolini o è un cinema istintivo, ovvero che agisce senza avere piena cognizione dell’uso avvertito e ricercato della tecnica cinematografica al servizio dei sentimenti? In Still life era l’interazione tra pensiero ed emozione ad avere, chiedo scusa per la rima, la parte del leone. Con Nowhere special – Una storia d’amore Uberto Pasolini dà invece un colpo al cerchio del risaputo connubio tra rigore ed emozione e un altro alla botte dell’apprezzabile spontaneità di tratto. Quindi nel vedere Nowhere special – Una storia d’amore con occhio critico, non certo per cercare il pelo nell’uovo, bensì per fare da intermediario, se è possibile, tra l’autore e il pubblico, al servizio perciò dello spettatore, sia passato (il film è stato presentato nel 2020 alla Festa del Cinema di Roma) sia futuro (vale comunque, come si dice in questi casi, il prezzo del biglietto), occorre capire se la dote spontanea costituisca, in ultima analisi, l’elemento portante. Il perno. Senza il quale viene giù tutto. E buonanotte ai suonatori! Il precipuo carattere dell’autore ieratico ed essenziale, intento a togliere al visibile per aggiungere all’invisibile, non appartiene a Uberto Pasolini. E nemmeno la maestria di rileggere gli stilemi del neorealismo con i cortocircuiti onirici (basti pensare ad Accattone quando il protagonista chiede in sonno al becchino di scavargli la fossa dove batte il sole) insieme ad altre intuizioni cariche di senso dell’omonimo Pier Paolo (Pasolini).

Uberto a raggiungerlo, a ogni buon conto, non ci prova nemmeno. Gli interessa piuttosto toccare il cuore degli spettatori, finanche i presunti o veri intellettuali, che a furia di apprezzare un film in base al pregio culturale, alle metafore congiunte alla scrittura per immagini, agli elementi della percezione, al piacere di riconoscere nella potenza fascinatoria dell’intelletto i loro stessi sogni, si allontano dai sentimenti. Ritenendoli una questione di lana caprina. Dimenticando che, se mostrati nel rispetto dell’economia della forma, i sentimenti arricchiscono di significato il contenuto. Uberto Pasolini si domanda con Nowhere special – Una storia d’amore, per mezzo dell’economia della forma, se la famiglia piena di soldi ma povera di spirito possa davvero offrire dei vantaggi al bimbo che presto perderà il padre. Nel porsi sinceramente questa domanda spinge gli spettatori a fare altrettanto. Lo sforzo di non esprimere giudizi perentori, lasciando al pubblico la facoltà di tirare le somme, è più apparente che sostanziale. Il giudizio negativo nei confronti di alcuni personaggi funzionali al racconto affiora eccome. Ed è un tallone d’Achille difficile da sopperire con gli stilemi dell’antiretorica che spingono le platee, semplici ed erudite, a immaginare. Uberto Pasolini il richiamo all’invisibile non lo ha nelle corde. Però, a differenza dei timbri oggettivi, ed esoterici del compianto Pier Paolo, lo cerca. Quel richiamo lo attrae. La ricerca che avviene molto coscientemente è l’elemento più debole di Nowhere special – Una storia d’amore. Al pari della scelta di trarre partito dalla realtà, da qualcosa cioè che è effettivamente successa, per poi ricamare in cabina di regìa sul mestiere del lavavetri. Che, vuoi per abitudine o deformazione professionale vuoi perché il lavavetri John sta per morire ed è costretto a guardare avanti per assicurare al figlioletto, Michael, un futuro, di norma guarda dietro. Col controcampo visivo offerto dai vetri lavati.

Ed è infatti tramite lo specchietto retrovisore dell’automobile di Michael che Uberto Pasolini mostra in soggettiva l’immagine del cliente classista e insensibile accanto alla sua vettura di lusso. In tal caso è tutto piuttosto programmatico: non c’è nulla che il pubblico possa immaginare. Ad alzare il tiro provvede la geografia emozionale. La correlazione oggettiva, evocativa ed empatica, persino epidermica in certi passaggi, tra habitat ed esseri umani. Michael in primis. Ma anche altre figure. Di fianco. Belfast, grazie alla consapevole padronanza del mix d’interni ed esterni, pur non scongiurando il rischio di accrescere l’enfasi di maniera, sia pure in filigrana (il leitmotiv di Michael inquadrato di profilo mentre guarda alla finestra non va sotto pelle), diviene una co-protagonista del film. Lungo le strade, i giardini, le abitazioni dei nababbi superficiali, quelle dei ricchi profondi (il manicheismo resta però uno dei maggiori limiti). Ad andare sottopelle, mandando a carte quarantotto le pieghe programmatiche del teatro imbastardito, anche se già compensate dalla sconcertante autenticità delle reazioni mimiche catturate da Uberto Pasolini in piano-sequenza, anziché utilizzare i raccordi di montaggio, è il volto intenso, silente, presente, consapevole di James Norton (John). Ed è quella consapevolezza, che Uberto Pasolini coglie appieno, la carta vincente di Nowhere special – Una storia d’amore. Che poi il bravo Uberto la catturi consapevolmente e viceversa si serva della tecnica cinematografica in modo meno consapevole è un’altra faccenda. Che conta poco quando la macchina da presa non si limita a registrare la realtà. Ma la crea. Avviene nella scena in cui Michael per sentirsi ancora vivo e reattivo tira le uova sulle finestre e sulla vettura di lusso del cliente classista. Le dicotomie della critica sociale restano. Tuttavia l’assenza di dialoghi chiarificatori le trascende per un attimo. Prezioso. Fuggente. Come quello del capolavoro con Robin Williams. Nella sequenza in cui Michael guarda per l’ultima volta gli strumenti del mestiere di lavavetri si capisce che i capolavori del cuore contano di più dei lavori di sottrazione fatti con il cervello.

 

 

Massimiliano Serriello