Si intitola Old ma è dal graphic novel Castello di sabbia a firma di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters che prende ispirazione il quattordicesimo lungometraggio diretto dal talentuoso cineasta di origini indiane M. Night Shyamalan, autore di The sixth sense – Il sesto senso e Split.
Graphic novel da cui prende immediatamente le distanze aggiungendovi sullo schermo una fase introduttiva mirata a farci conoscere i diversi personaggi in vacanza che, come sulla carta disegnata, vediamo ritrovarsi su una paradisiaca spiaggia appartata destinata presto, però, a rivelarsi posto tutt’altro che tranquillo.
Perché il rinvenimento di un cadavere femminile in acqua segna soltanto l’inizio di un incubo ad occhi aperti che vede coinvolti, tra gli altri, un rapper dalle fattezze di Aaron Pierre, un Gael García Bernal padre di famiglia con moglie e due giovanissimi figli al seguito e un medico incarnato dal Rufus Sewell di The father.
Medico che non manca neppure di manifestare aggressivi comportamenti da psicopatico dopo che, tutti insieme, cominciano ad apprendere come la località, dalla quale sembrerebbe impossibile fuggire, li porti ad invecchiare con incredibile velocità; tanto che i bambini diventano adulti in pochissime ore e non dimenticano neppure di scoprire il sesso.
Un aspetto, quest’ultimo, che Shyamalan – presente anche in un piccolo ruolo di attore – affronta fortunatamente in fotogrammi rendendolo tutt’altro che esplicito e pruriginoso rispetto alla maniera in cui è stato raccontato da Lévy e Peeters, tirando in ballo, invece, colpi bassi necessari in una vicenda dal più o meno spiccato sapore horror.
Sarebbe sufficiente citare l’impressionante intervento chirurgico improvvisato al fine di asportare un tumore, mirato a trascinare ancor di più lo spettatore nell’imperante clima di follia progressivamente generato dalla assurda situazione di isolamento portata in scena.
Una situazione che non può fare a meno di stimolare di continuo la curiosità nei confronti di ciò che sta accadendo al manipolo di vacanzieri immortalati dalla macchina da presa. Una macchina da presa che, nell’evidente intento di accentuare la loro forte sensazione di spaesamento, ruota spesso e volentieri orizzontalmente sul proprio asse.
Mentre, se da un lato Old fa del tanto splendido quanto inquietante ristretto pezzo di terra e mare il giusto scenario in cui costruire una tensione perenne magistralmente gestita dal regista, dall’altro, a differenza di Castello di sabbia, fornisce una spiegazione conclusiva capace di renderlo non poco attuale agli occhi di un’umanità del XXI secolo sempre più dubbiosa e timorosa dinanzi a pandemie, vaccini e cospirazioni assortite. Sebbene, con ogni probabilità, un epilogo maggiormente pessimista avrebbe giovato ancor di più all’operazione.
Francesco Lomuscio
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