Orso d’Oro per “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi al Festival di Berlino!

Berlino

Fuocoammare, il docufilm di Gianfranco Rosi dopo Il sacro GRA – già premiato a Venezia – si aggiudica l’Orso d’Oro al Festvial di Berlino. Si commuove Rosi e chiama sul palco della Berlinale il dottore Pietro Bartolo e l’aiuto regista del film premiato alla 66esima edizione, quest’anno dominata dal tema dell’immigrazione, dell’integrazione e con uno sguardo forte al Medio Oriente, all’Africa. Dice che “questo è un premio anche per i produttori”. Parla in inglese, poi in italiano.

La presidente della giuria Meryl Streep, al fianco del direttore Dieter Kosslick, legge il verdetto: “Film eccitante e originale, la giuria è stata travolta dalla compassione. Un film che mette insieme arte e politica e tante sfumature. È esattamente quel che significa arte nel modo in cui lo intende la Berlinale. Un libero racconto e immagini di verità che ci racconta quello che succede oggi. Un film urgente, visionario, necessario”. Sul palco, Rosi comincia il suo discorso: “Il mio pensiero più profondo va a tutti coloro che non sono mai arrivati a Lampedusa, a coloro che sono morti. Dedico questo lavoro ai lampedusani che mi hanno accolto e hanno accolto le persone che arrivavano. È un popolo di pescatori e i pescatori accolgono tutto ciò che arriva dal mare. Questa è una lezione che dobbiamo imparare”. E ha continuato: “Per la prima volta l’Europa sta discutendo seriamente alcune regole da fissare, io non sono contento di ciò che stanno decidendo. Le barriere non hanno mai funzionato, specialmente quelle mentali. Spero che questo film aiuti ad abbattere queste barriere”. Poi saluta con un bacio la figlia Emma: “Ho passato un anno e mezzo a Lampedusa e l’ho vista solo pochi giorni. Questo la renderà felice per molto tempo”.

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Nel suo viaggio intorno al mondo per raccontare persone e luoghi invisibili ai più, dopo l’India dei barcaioli (“Boatman”), il deserto americano dei drop-out (“Below Sea Level”), il Messico dei killer del narcotraffico (“El Sicario”, “Room 164”), la Roma del Grande Raccordo Anulare (“Sacro Gra”), Gianfranco Rosi è andato a Lampedusa, nell’epicentro del clamore mediatico, per cercare, laddove sembrerebbe non esserci più, l’invisibile e le sue storie. Seguendo il suo metodo di totale immersione, Rosi si è trasferito per più di un anno sull’isola facendo esperienza di cosa vuol dire vivere sul confine più simbolico d’Europa raccontando i diversi destini di chi sull’isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti. E’ l’unico titolo italiano in concorso al festival di Berlino.

Rosi ha impiegato un intero anno per riprendere i flussi migratori verso le coste italiane: a Lampedusa, si è fermato un anno intero raccontando la disperazione di famiglie in cerca di un futuro e la difficoltà degli isolani. L’invito a partecipare al festival è arrivato dalla Berlinale mentre Rosi stava terminando il montaggio del film sull’isola. “È stato importante montare lì”. “Quando chiesi al medico che si occupava dei migranti, Pietro Bartolo, perché Lampedusa fosse così generosa, lui mi rispose: ‘Noi siamo un popolo di pescatori e i pescatori accettano tutto quello che viene dal mare. Quindi dobbiamo imparare a essere più pescatori anche noii”, aveva detto poco prima di essere premiato, intervistato sul red carpet di Berlino, Gianfranco Rosi.Alla guida di una giuria a prevalenza femminile che comprende anche la nostra Alba Rohrwacher (e la regista polacca Malgorzata Szumowska, oltre alla fotografa Brigitte Lacombe), aveva detto in apertura: “Siamo tutti africani”, sottolineando l’importanza dell’integrazione nelle nostre società. Il direttore della Berlinale Dieter Kosslick aveva definito il documentario del regista “un’opera potente”. Dell’esperienza di presidente di giuria Meryl Streep, vestito grigio con scollo profondo e qualche lustrino, dice: “Parlo a nome del gruppo: siamo eccitati e energizzati dal lavoro bello e importante che abbiamo visto  e siamo orgogliosi di portarlo all’attenzione del mondo”.

Orso d’argento, gran premio della giuria va al bosniaco Danis Tanovic per Morte a Sarajevo. Ambientato nel 2014, il ventotto giugno, quando all’Hotel Europa, il migliore di Sarajevo, si prepara la commemorazione per i cento anni dallo scoppio della Prima Guerra mondiale e in contemporanea sta per partire lo sciopero dei dipendenti del personale. La situazione si rivelerà esplosiva.

Orso d’argento per il miglior regista. Lo consegna Alba Rorhwacher dicendo “È un ritratto di una donna la cui famiglia diventa aliena e che deve reinventarsi”: premiata la francese Mia Hansen-Love per L’Avenir. Lei dal palco dice rivolta a Meryl Streep: “Non penso che ci sia niente di più bello che ricdvere un premio dalle tue mani. Poi ringrazia Isabelle Huppert “per aver avuto fiducia in me, per l’energia, l’intelligenza e l’umorismo. È un film sulla diversità, la complessità e la gioia della felicità che è quello che provo ora.

Il premio Bauer per l’innovazione è andato al filippino Lav Diaz a Lullabay to the Sorrowful Mystery. Lungo otto ore e cinque minuti, una vera cinematografica che ha monopolizzato l’attenzione della Berlinale.

Orso d’argento per il miglior attrice alla bravissima Trine Dyrholm per il film danese The Commune di Thomas Vinterberg. Tratto in parte dalla storia del regista, racconta di una comune degli anni Ottanta con la dolcezza ma anche l’amarezza di una donna che vedrà il proprio marito trovare una nuova compagna e portarla nella comune. La sua vita personale e professionale entrerà in una crisi prodonda: “Thomas sei pieno di talento e uno straordiario essere umano; è stato bello lavorare con te. Sono stata qui alla Berlinale tante volte, è la mia ‘comune’, grazie alla giuria per questo premio nel migliore festival del mondo”. L’attrice è andata a baciare i giurati uno a uno.

Doppio premio al film tunisino Hedi di Mohamed Ben Attia: Oro d’argento per il miglior attore e per la migliore opera prima. Cliwe Owen: “Tutta la giuria è rimasta commossa dalla tenerezza e dalla sensiblità e dalla sua interpretazione totalmente coinvolgente”. L’attore Majd Mastoura, dal palco, dice: “Grazie al popolo della Primavera, della rivoluzione, spero che continueremo a essere liberi, grazie a voi questo film si è potuto fare”. Hedi racconta la vita di un giovane tunisino e la sua crisi di fronte all’incontro con una ragazza, mentre la madre ha già organizzato il matrimonio con un’altra donna. Erano vent’anni che non c’era un film arabo in concorso. La produttrice Dora Bouchoucha ringrazia il cinema per restituire “umanità in un mondo sempre più disumanizzato e pauroso. Grazie per metterci tutti insieme”, ha detto.

Orso d’argento alla migliore sceneggiatura. United States of Love del polacco Tomasz Wasilewski: “Sono senza parole, ora non potrei scrivere nulla. Grazie per averci notato”. È la storia di quattro donne di una piccola città che sognano una vita migliore dall’altra parte del fiume.

Orso d’argento per il miglior contributo artistico, alla bellissima fotografia del film cinese Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao, storia di un marinaio di un battello lungo il fiume Yangtse e della stessa donna che incontra porto dopo porto, attracco dopo attracco.

Orso d’argento per il cortometraggio Balada De Um Batráquio: “Faccio film sugli immigrati perchè lo sono, i miei genitori sono andati via dal Medio Oriente tanto tempo fa. Ma una volta era diverso. Io però credo che questa sia la storia più importante da raccontare oggi, e non è solo la loro storia ma anche la nostra”.

La giuria del Festival di Berlino, guidata da Meryl Streep insieme a Clive Owen, Lars Eidinger, Nick James, Brigitte Lacombe, Alba Rohrwacher e Malgorzata Szumowska, ha visto in gara 18 film tra i quali, oltre a Fuocoammare di Rosi, anche Genius di Michael Grandage, con Colin Firth and Jude Law; Things to Come di Mia Hansen-Love, con Isabelle Huppert; Alone in Berlin di Vincent Perez, un racconto sulla Seconda Guerra Mondiale con Emma Thompson e Brendan Gleeson; Midnight Special di Jeff Nichols, con Michael Shannon e Joel Edgerton.

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La lista dei vincitori:
Orso d’oro per il miglior cortometraggio: Balada De Um Batráquio di Leonor Teles
Orso d’argento, premio della giuria per il miglior cortometraggio: A Man Returned di Mahdi Fleifel
Premio Audi per il miglior cortometraggio: Jin Zhi Xia Mao di Chiang Wei Liang
Miglior debutto: Inhebbek Hedi di Mohamed Ben Attia
Orso d’argento per il contiributo artistico: Mark Lee Ping-Bing per l’arte cinematografica in Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao
Orso d’argento per la miglior sceneggiatura: Tomasz Wasilewski per Zjednoczone stany mi?o?ci (United States of Love)
Orso d’argento per il miglior attore: Majd Mastour per Inhebbek Hedi (Hedi) di Mohamed Ben Attia
Orso d’argento per la migliore attrice: Trine Dyrholm per The Commune
Orso d’argento per il miglior regista: Mia Hansen-Love per Things to Come

I film in gara:
24 Wochen (24 Weeks) di Anne Zohra Berrached (Germany)
Alone in Berlin di Vincent Perez (Germany / France / United Kingdom)
Boris sans Béatrice (Boris without Béatrice) di Denis Côté (Canada)
Cartas da guerra (Letters from War) di Ivo M. Ferreira (Portugal)
Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao (People’s Republic of China)
Ejhdeha Vared Mishavad! (A Dragon Arrives!) di Mani Haghighi (Iran)
Fuocoammare (Fire at Sea) by Gianfranco Rosi (Italy / France) – documentario
Genius di Michael Grandage (United Kingdom / USA) – primo lungometraggio
Hail, Caesar! di Joel and Ethan Coen (USA / United Kingdom) – fuoriconcorso
Hele Sa Hiwagang Hapis (A Lullaby to the Sorrowful Mystery) di Lav Diaz (Philippines / Singapore)
Inhebbek Hedi (Hedi) di Mohamed Ben Attia (Tunisia / Belgium / France)
Kollektivet (The Commune) di Thomas Vinterberg (Denmark / Sweden / Netherlands)
L’avenir (Things to Come) di Mia Hansen-Løve (France / Germany)
Midnight Special di Jeff Nichols (USA)
Quand on a 17 ans (Being 17) di André Téchiné (France)
Smrt u Sarajevu / Mort à Sarajevo (Death in Sarajevo) di Danis Tanovic (France / Bosnia and Herzegovina)
Soy Nero di Rafi Pitts (Germany / France / Mexico)
Zero Days di Alex Gibney (USA) – documentario
Zjednoczone Stany Milosci (United States of Love) di Tomasz Wasilewski (Poland / Sweden)

fonte: repubblica.it