Parigi, tutto in una notte è un film francese curioso con un’attrice italiana discreta. Non si tratta di una battuta. Ma di un dato di fatto. Fermo restando che il cinema a livello critico e analitico paga dazio ai limiti sin troppo evidenti dell’impressionismo soggettivo. Tuttavia ogni regola ha un’eccezione.
È il caso di Parigi, tutto in una notte? Inoltre un film perlomeno curioso è il contrassegno di una nota di merito o d’un limite? Come sempre le risposte vanno ricercate nella freccia migliore all’arco di qualsivoglia regista: la scrittura per immagini.
Chiaramente, ma neanche tanto agli occhi dei falsi esperti che si riempiono la bocca con le cifre stilistiche degli ermetici autori premiati ai festival e poi non afferrano realtà evidenti conformi all’ordine naturale delle cose, le scelte registiche in questi casi fanno la differenza. Nel bene e nel male. Dietro la macchina da presa nel caso preso in esame campeggia l’esperta regista transalpina Catherine Corsini che, dopo aver dato prova di notevole sottigliezza introspettiva ne La Répétition – L’altro amore, si è decisamente persa. Il punto è capire se abbia ritrovato la vecchia verve in un film che non c’entra nulla con l’amore lesbico ma molto con l’animo femminile etero. Le dinamiche degli scontri muliebri d’inizio film appaiano scontate e altresì ripetitive. Intese questa volta nell’accezione peggiore anziché la migliore. Com’era successo nel film in cui Catherine Corsini aveva meritato l’elezione ad autrice tout court. L’investitura ritrovata cerca il colpo d’ala nell’incidente che capita alla protagonista impersonata da Valeria Bruni Tedeschi e nella frattura che ne consegue. I motivi d’incertezza relativi al referto medico non tengono sui carboni ardenti, al pari degli stilemi dei thriller canonici, bensì fanno semplicemente parte del mosaico narrativo mandato ad effetto da Catherine Corsini.
Gli spogliatoi femminili dell’ospedale parigino in cui il personaggio interpretato dalla nostra Valeria Bruni Tedeschi riceve le prime, tempestive cure, il carattere d’autenticità di determinati semitoni, le figure di fianco promosse ad apprezzabili controparti della protagonista incuriosiscono sin dal principio sia gli spettatori muniti di licenza elementare, facili quindi allo sbadiglio, sia quelli avvertiti. Estranei alla noia di piombo quando in ballo c’è l’aura contemplativa. Catherine Corsini contempla com’era prevedibile gli occhi cerulei di Valeria Bruni Tedeschi. Che fanno, come si diceva una volta, cassetta. Ossia abbracciano i valori commerciali. Alieni per principio all’urgenza dei film d’autore e di conseguenza all’aura contemplativa ad appannaggio dell’opportuna poesia. In Parigi, tutto in una notte prevalgono il poeticismo, l’aggiunta, al posto del lavoro di sottrazione, la contraddizione (gli occhi comunicano una cosa, le modalità esplicative dei dialoghi un’altra), il montaggio alternato privo del dinamismo dell’azione rintracciabile nei noir pregni di sostanza, l’apparenza che strappa al limite una scarsa sufficienza. La simpatia del personaggio di Valeria Bruni Tedeschi dapprincipio si ferma in superficie. In seguito si guadagna un punteggio superiore alla sufficienza sulla scorta d’un pathos in partenza elementare: ha paura di morire. Anche se nessuna persona al mondo muore per una frattura curata tempestivamente. In tempi di guerra una simile apprensione può tralignare dalla simpatia all’antipatia. L’infermiera di colore è a prima vista un personaggio minore. Che a ben guardare va per la maggiore: non raccoglie sfoghi inutili, a differenza dei suoi colleghi e delle sue colleghe, ha le idee chiare, bada alla sostanza, funziona sul lavoro. Parigi in tutto ciò?
Si vede poco e niente. Il titolo originale d’altronde è La fracture. Ed è per l’appunto la frattura che innesca l’impianto narrativo corale in ospedale sull’esempio dei film a mosaico di Robert Altman ed Ettore Scola. Catherine Corsini per paura di lesa maestà insiste in varianti eterogenee benché fuori luogo. I luoghi comuni, nomen omen, regnano sovrani. Il luogo eletto a location e ad attante narrativo risulta interessante. Al punto da incuriosire persino gli esperti di antropologia. Che giudicano i film commerciali una perdita di tempo. Parigi, tutto in una notte fa passare il tempo come ogni opera d’intrattenimento. Il messaggio veicolato da Catherine Corsini con una scrittura per immagini giunta allo zenith quando il movimento di macchina da destra verso sinistra coglie un sorriso liberatorio, a un tiro di schioppo dall’esito delle lastre, è chiaro come l’acqua: una frattura vera è un problema del benessere per le donne agiate ma incerte; le fratture dell’anima sono un lusso per le infermiere e gli infermieri che meritano la promozione a paramedici. Sul carattere d’autenticità nulla dire: il copione è un ottimo spunto per la scrittura per immagini. Quest’ultima veleggia sulla superficie: la conoscenza della materia trattata è generica; non emerge il timbro antropologico e sociale che distingue un ospedale parigino da uno laziale o campano. Ed è una pecca decisiva. Parigi, tutto in una notte resta un film che incuriosisce. Ma alla fine ingenera aspettative inappagate. Le figure degli infermieri e delle infermiere rimangono sullo sfondo alla fin fine. Prevale il personaggio di Valeria Bruna Tedeschi che quando recita in lingua francese toglie mentre quando recita in italiano aggiunge. Ci pensa Catherine Corsini ad aggiungere sentimento al sentimento trasformando l’apprezzabile lavoro di una sottrazione in una soap opera che mette troppa carne al fuoco. E non la cuoce nemmeno come dovrebbe e potrebbe. Peccato. À la prochaine (fois). Excuse-nous.
Massimiliano Serriello
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