Playmobil – The movie: gli storici giocattoli balzano sul grande schermo

Il pubblico solitamente sciama sorridendo dalla sala, specie sotto le feste, dopo la visione di un film dalla spudorata levità che aiuta in qualche misura a vincere l’angoscia d’ogni giorno, acuita dalla pesantezza esistenziale, e guarda al futuro, ed ergo al nuovo anno alle porte, con salda ed empatica speranza.

Il cartoon Playmobil – The movie non sembra possedere le credenziali richieste, a dispetto dell’alto tasso di saccarosio connesso alla vicenda dell’ormai ex adolescente Marla costretta, in seguito alla dipartita dei genitori, a occuparsi dell’irrequieto fratello minore Charlie che la accusa di non saper più sognare. L’emblematico passaggio al mondo dell’animazione, con l’ingresso stregonesco in un universo giocondo fatto su misura per gli storici giocattoli in voga negli anni Ottanta, frutto dell’ingegno dell’omonima azienda teutonica, stenta già a scaldare la fantasia dei grandi, accanto ai piccini nel buio della sala per dovere, eppure, inclini ad appisolarsi sulla poltrona. A svegliarli dovrebbero provvedere le peripezie dei due orfani, calatisi nei panni l’uno del più forte guerriero vichingo mai visto e l’altra nella classica antieroina decisa, però, a invertire nella realtà parallela la tendenza imperante in quella vera.

La vena briosa del regista Lino DiSalvo accentua gli spunti farseschi predisposti in fase di sceneggiatura per tener vivo l’interesse di chi al grigiore degli apologhi introspettivi antepone l’armonia e l’arguzia dell’humour. La presa in giro nei confronti dell’ampio margine d’enigma degli intrighi spionistici provoca, tuttavia, diversi sbadigli, anziché riuscire ad appaiare le virtù parodistiche con la forza immaginifica in grado di sedurre pure gli adulti più refrattari, ed esaspera perciò le freddure verbali e figurative ivi congiunte. Il Fanciullino del Pascoli, che Toy story e Up sono riusciti a riaccendere incredibilmente sulla scorta del tono brioso frammisto con inappuntabile misura al controcampo poetico ed elegiaco, non diviene mai l’ideale convitato di pietra. A prenderne il posto è, purtroppo, una noia di piombo che appesantisce persino l’implicita leggerezza promossa ad antidoto contro lo spettacolo accigliato delle opere autoriali prive dell’indispensabile brio.

La tenacia di Marla nel voler trarre in salvo Charlie dall’infido imperatore Maximus, con l’ausilio dell’intraprendente autista di food truck Del e del vanesio ma generoso agente segreto Rex Dasher, innesca una ricerca intenta ad abbozzare risaputi labirinti d’ipotesi pretestuose ed enfatici richiami del sangue. L’audacia di congiungere l’epoca dell’antica Roma con quella dell’espansione delle popolazioni nordiche, avvezze ai saccheggi, cede presto spazio al peso dell’incongruenza. La macchina narrativa, oliata alla bell’e meglio, per proporre come alternativa ai cerebralismi i coefficienti spettacolari cari a chiunque abbia letto i libri di Jules Verne ed Emilio Salgari, paga dazio alla pretesa di aggiungervi pure il gusto, assai poco gradito ai bimbi, del complotto tipico della guerra fredda. Mentre le unghiate satiriche, seppur spuntate, danno alcune provvide rigature all’ovvia aura che scambia i puzzle puerili con gli arcani profondi, tirando in ballo – per confondere ulteriormente le acque – perfino immani creature zoologiche simili ai freaks presenti in Guerre stellari, il ricorso agli stilemi dei musical appare immune da qualunque dileggio.

Ed è il limite maggiore di Playmobil – The movie, in quanto l’andatura del racconto, interrotto a ogni piè sospinto dalle varie canzonette, ne risente al punto d’inciampare nel filo d’erba delle pieghe ridicole dovute alla smania d’interludi armonici allergici alle giustapposizioni mordaci. L’innesto delle improvvise angosce, sostituite comunque tempestivamente dalla vorticosa congerie di condotte buffe e contesti sbeffeggiatori ed evocativi, diviene così un campo minato. L’apporto in live action degli scenari analoghi a Il gladiatore traligna le trovate azzeccate in aneddoti bozzettistici incapaci di reperire l’arguzia necessaria ad accompagnare gli spettatori nel piacere dell’irrisione, sull’esempio di Hot Shots!, arguta riedizione farsesca di cult – da Casablanca a Top gun, da Apocalypse now a Platoon – non esenti da dilettevoli lacune. La storia scivola così nell’assurdo, oltre che nel tedio, ed esce dall’impasse solo quando l’invadente schematismo cede spazio ad alcuni curiosi rintocchi dal sapore surreale.

L’attitudine, nondimeno, a mischiare il sacro, riposto nella potenza dell’ignoto conforme alla suspense dei thriller antiretorici, col profano della platealità, rinvenibile nelle bizzarrie dell’inesausto tiranno, stretto parente del Commodo di Joaquin Phoenix e ugualmente dell’ingenuo Nerone di Peter Ustinov in Quo Vadis, sciupa qualsiasi tipo di risorsa. L’esplicito richiamo citazionistico, contemplato dalla cultura postmoderna, gira, dunque, a vuoto. La piccola galleria di mostri, angeli, codardi e intrepidi, duri nella lotta, leali allora nell’anima, sintonizza tutte le platee sulla stessa lunghezza d’onda dell’infanzia. Ignara del senso dei continui rimandi. L’impasse del climax conclusivo, accostabile al cane che si mangia la coda, sigilla il peso insostenibile delle molteplici componenti manieristiche che fanno acqua da tutte le parti. Una volta venuti a mancare gli appigli, emerge l’insita pochezza. L’abbraccio scontato di Charlie con la sorella, nel ritorno al modus vivendi precluso ai cartoni animati, provoca lieti sorrisini. Bastasse increspare le labbra per conferire compattezza all’ennesimo ripiego nel bisogno di credere ai sogni. Dei quali l’arpagone DiSalvo ci dà appena una buccia in Playmobil – The movie.

 

 

Massimiliano Serriello