In attesa dell’approdo in sala del film d’impegno Nour – previsto per il 10, l’11 e il 12 Agosto 2020 con Vision Distribution per poi essere trasmesso, otto giorni più tardi, su Sky – alla conferenza stampa emerge l’intesa artistica, oltreché umana, stabilita tra Sergio Castellitto, reclutato nel ruolo dell’altruistico dottor Pietro Bartolo, e Maurizio Zaccaro. Pronto, sulla scorta dell’esperienza maturata in cabina di regìa, ad affinare l’alchimia col versatile interprete che già aveva procurato schietti applausi a entrambi con la presentazione nel 2007 al Roma Fiction Fest della miniserie O’ professore.
Passare dai panni dell’insegnante d’italiano, che lotta per riuscire nell’imbarbarimento vigente in quel di Scampia ad anteporre la liberatoria sete di sapere, alla parte del medico alla guida dell’ambulatorio sull’isola di Lampedusa ha rappresentato per Castellitto l’ennesima sfida della carriera. All’insegna dell’arduo lavoro su sé stesso e delle dinamiche interiori ed esteriori dei personaggi attinti alla realtà.
“Non faccio differenza tra Bartolo e Poseidone” specifica l’attore romano. “Si tratta di mettere in scena ed evocare sentimenti profondi. Modi d’agire, condotte ed etica tanto dei giganti, persino leggendari, del passato quanto di autentici contemporanei. Nel caso di Pietro sono stato felice di aderire agli slanci di un uomo eccezionale. Protagonista di questa parabola, quasi evangelica. L’idea che pone al centro della propria esistenza è utopica. E, perciò, anche fortissima. Consiste, infatti, nello svuotare il mare con un cucchiaio. Una missione impossibile ma altresì degna d’encomio per chi, nonostante tutto, comunque ci prova. Ed è in quel perenne, indomito tentativo che risiede la nobiltà del gesto. Noi dobbiamo limitarci a consegnarlo agli spettatori senza perderci in sterili e accese dissertazioni d’ordine sociale”.
Pietro Bartolo, presente al meeting on line, è un fiume in piena. L’onere di salire sui battelli per constatare le condizioni degli immigrati a bordo, di aprire i sacchi, di vincere l’angoscia, senza arrendersi all’orrore, lo spinge a individuare una via d’uscita dal fiele delle polemiche e dei pareri agli antipodi nell’incontestabile componente dell’empatia. Definito un medico di frontiera, chiamato ad affrontare situazioni strazianti ed estreme, esposte in due libri colmi d’intimo pathos, frammisto al versante collettivo, Lacrime di sale e Le stelle di Lampedusa, l’ispiratore di Nour si riconosce con un certo orgoglio sia nei semitoni sia nei proverbiali soprassalti di rabbia dell’energico Castellitto. “Mi rivedo quando dà in escandescenza coi giornalisti ora a corto di discrezione e di sensibilità, ora arresesi al cinismo. Chi semina odio e terrore non rende onore alla categoria dei divulgatori di notizie improrogabili. Ritengo tuttavia un momento importante, se non addirittura decisivo ai fini della trama, la scena in cui Sergio nel ruolo del sottoscritto chiede scusa alla signora che, bene o male, cerca di aiutarlo. Soccorrere le persone in difficoltà rientra nella deontologia di ogni medico. Non sono atti di eroismo. Castellitto, grazie alla maestria recitativa che gli appartiene, ha saputo cogliere al meglio il tran tran giornaliero speso ad aiutare il prossimo senza ergersi mai a paladino né a fulgido modello da seguire”.
Sicuramente, rispetto alle previe performance, il buon Sergio è riuscito a governarsi con maggior sobrietà d’accenti. Alcune varianti umoristiche, seppur lungi da fungere da acute gag d’alleggerimento, nell’ambito di un contesto sovraccaricato dall’enfasi sepolcrale, congiunta all’analisi dei tormentosi stati d’animo, risultano piuttosto interessanti. Il merito va ricercato nella capacità d’osservazione dell’abile Maurizio Zaccaro. I duetti in inglese assai stentato con la ragazzina adolescente del titolo, Nour, che afferra il valore dell’acqua e cerca aneliti di speranza negli eloquenti sguardi, intrigano i cinefili. Richiamando al rapporto padre-figlia, contraddistinto dall’inevitabile sfiducia iniziale, dello psichiatra idealista Arturo alias Castellitto con l’immusonita dodicenne Pippi ne Il grande cocomero di Francesca Archibugi.
“Sinceramente non avevo pensato a questo nesso” tiene a precisare il regista milanese, distintosi pure nelle vesti di sceneggiatore e produttore. “Ma in effetti c’è una connessione in tal senso. Con Castellitto abbiamo imparato a comprenderci al volo. Con uno sguardo. È come quando si suona il pianoforte: ci sono note alte e note basse. A volte gli chiedo di stare un’ottava più giù. E lui capisce subito ed esprime l’essenza interiore necessaria ad approfondire i vari risvolti. Compresa l’attitudine a parlare con gli occhi. Esistono vibrazioni segrete che vengono a galla nello scandagliare la realtà attraverso l’aura contemplativa. L’affiatamento di presa immediata, rinvenibile nella comprensione istintiva, dà forse frutti migliori della perenne discussione sui massimi sistemi”.
Lo scopo di Nour sembra che risieda nel fornire risposte schiette ed esaurienti. Anziché spingere gli spettatori a porsi interrogativi sterili. Non mette al riparo il pubblico estraneo alle prese di posizione, pro o contro, dalle polemiche sugli sbarchi a raffica nell’isola di Lampedusa degli immigrati. Nondimeno l’apprezzabile lucidità dell’osservatore che supplisce all’assenza di carica immaginativa con l’egemonia del cuore sul cervello cementa la stabilità dell’impianto narrativo. Che non beneficia dell’elaborazione fantastica delle opere visionarie. Però, in tempi a dir poco particolari, confida in un’ampia ed esaustiva partecipazione di pubblico ai motivi d’inquietudine e d’ispirazione di Nour. Staremo a vedere.
Massimiliano Serriello
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