Primo Amore è un film di Matteo Garrone del 2004. Dopo due anni dall’uscita del bellissimo noir L’imbalsamatore, ispirato alla storia del nano della Stazione Termini, Garrone si riapproccia con successo a un caso di cronaca nera italiana, quello di Marco Mariolini, antiquario bresciano ossessionato dalla magrezza femminile. Mariolini, da sempre attratto sessualmente dalle anoressiche, si innamorò di una donna normopeso, e le conseguenze della loro relazione malata furono tali che oggi l’uomo sta scontando una pena di 30 anni nel carcere di Pavia. Mariolini decise di raccontare la sua vita e la sua ossessione nel romanzo autobiografico Il Cacciatore di Anoressiche, uscito per la Edicom nel 1997, ed è proprio su questo testo che si basa la sceneggiatura del film di Garrone, scritta insieme a Massimo Gaudioso ed al protagonista del film, lo scrittore vicentino Vitaliano Trevisan, che fa il suo debutto come attore proprio in questo gioiello. Eh già, perché Garrone, come sempre, non delude, ed accompagnato di nuovo dalle insinuanti musiche della Banda Osiris ci porta all’interno di un incubo, ci rende partecipi della follia di una mente malata che ne incontra una fragile e la fa sua, la monopolizza, la stragia, la fa deperire, e con essa il corpo che la racchiude.
In una Vicenza livida e geometrica si svolgono le vicende di Vittorio e Sonia, conosciutisi durante un appuntamento al buio. Inizialmente tra i due non pare esserci alcun feeling, perche Vittorio non appena vede Sonia le dice subito che se la immaginava più magra, con ovvia perplessità della ragazza che è una modella in una scuola d’arte e non pesa più di 55 kg. Tuttavia Vittorio si dimostra interessato a Sonia, meravigliandosi lui stesso per primo, perché di solito si era sempre innamorato prima del corpo e poi della testa, come spiega allo psichiatra che lo ha in cura, invece in questo caso si è innamorato della testa, ma non ha il corpo che desidera “Trovo la testa, non c’è il corpo. Trovo il corpo, non c’è la testa” “Ma lei cerca un corpo o una testa?” “Tutti e due: dovrebbero andare sempre insieme, no?”. Ed in questa risposta di Vittorio c’è tutto il dramma che si svolgerà impietoso sotto i nostri occhi durante i 100 minuti del film. L’amore tra i due scocca, vanno a vivere insieme, ma Vittorio desidera che Sonia sia come vuole lui anche fisicamente, ed ella, per compiacerlo, accetta di sottoporsi a una dieta brutale ed insensata, in cui va perdendo peso in maniera incontrollata, fino a riuscire a malapena a reggersi in piedi e a sviluppare delle vere e proprie visioni. Ed allora viene da chiedersi: chi tra i due è più malato? Lui, ossessionato dall’attrazione fisica per le anoressiche, o lei, che accetta di essere completamente destrutturata e deturpata nel corpo e nella mente per compiacere un uomo con evidenti problemi psicologici?
Avvalendosi della sua strabiliante regia simmetrica che io adoro, Garrone trasforma Vicenza in una città da incubo, dove una giovane donna che vive una vita serena assieme al fratello diverrà vittima di abusi e vessazioni psicologiche inimmaginabili. I drammi del regista romano sono assolutamente più morbosi di molti horror, le torture che subiscono ed infliggono i protagonisti dei suoi amori malati sono molto più spaventose e crudeli di quelle della maggior parte dei torture porn cinematografici perché, purtroppo, reali, e sempre con risvolti drammatici e fatali. Così ogni volta che vediamo Sonia salire sulla bilancia è un po’ come quando vedevamo Peppino che si avvicinava a Valerio in L’Imbalsamatore: inizia ad aumentare il battito cardiaco, tratteniamo il respiro, e cerchiamo di capire cosa accadrà, se la vittima riuscirà a scappare, a riacquistare la sua libertà, o se sarà invece il carnefice ad avere la meglio. Ed in entrambi i casi i carnefici non si possono odiare e condannare appieno, perché in fondo sono vittime loro stessi delle loro psiche malate, delle loro morbose ossessioni, dei loro desideri folli che non permettono loro di vivere vite normali, avere relazioni normali ed appaganti come dovrebbe essere. Ed allora, affacciati al loro baratro, trascinano con sé nel loro inferno i malcapitati che si sono trovati ad attraversare, ahimè, le loro strade.
Alcune scene di questo Primo Amore sono totalmente destabilizzanti, ad esempio le visioni di Sonia che, costretta a vivere in una casa dove il cibo è stato fatto sparire tutto, scambia tre cipolle per cosce di pollo e vi si avventa sopra con una voracità tale che la porterà a mangiarle anche dopo aver scoperto la loro vera natura. Ma sicuramente la scena più cruda è quella che si svolge nel ristorante, e che porterà a grandi passi verso lo scioccante epilogo. Qui la tensione sale e l’empatia nei confronti della povera donna raggiunge vette immani, quando si trova davanti la sua insalata scondita e dall’altro lato del tavolo il piatto di tagliatelle ai funghi di Vittorio. Una grandissima nota di merito va all’attrice che interpreta Sonia, la bravissima trevisana Michela Cescon, che arriva dal teatro, la quale per il film accettò di perdere 15kg in poche settimane, ovviamente seguita da un nutrizionista con gli integratori adatti a non farle perdere anche la salute, come succede al suo personaggio. Questa interpretazione valse alla giovane Michela, al suo secondo film, la candidatura al David di Donatello come Miglior Attrice Protagonista e la vittoria del Globo d’Oro come Miglior Attrice Rivelazione. Al suo fianco troviamo, nello scomodo ruolo di Vittorio, Vitaliano Trevisan, che ci offre indubbiamente una buona interpretazione di un uomo disturbato nel profondo, convinto di fare la cosa giusta per se stesso e la donna che ha a fianco, perché solo così il loro sogno d’amore potrà dirsi perfetto; tuttavia l’impostazione vocale di Trevisan non mi ha convinto completamente, trovo che spesso l’attore si mangi le parole, così che il suo eloquio non risulti totalmente chiaro, e non solo, com’è ovvio, nelle scene in cui recita in dialetto, con i suoi colleghi di lavoro. Va bene che questa era la sua prima prova attoriale e che la sua spontaneità ha ben caratterizzato il personaggio, tuttavia, forse, un pizzico di dizione non avrebbe potuto che aiutare.
Quinto lungometraggio di Garrone, ci si ritrovano all’interno molti dei temi cari alla sua cinematografia: personaggi soli, borderline, che hanno problemi ad integrarsi normalmente nella società che li circonda, al limite tra normalità e patologia; toni cupi e crudi, dove si percepisce fin dall’inizio la piega drammatica che prenderà la vicenda; carnefici che portano le vittime a comportarsi in maniera quasi animalesca pur di sfuggire dalle gabbie dove sono stati rinchiusi, forse per troppo amore; la disperazione che accompagna ogni scena, e non ci lascia mai, anche quando lo sfondo sembrerebbe piacevole come un negozio di abbigliamento o un locale con musica dal vivo e ballerine brasiliane. Vicenza è fotografata in una fredda luce glaciale, dove il sole sembra essere malato come i due protagonisti, ed anche le boscose colline del Soave, nel Veronese, che potrebbero regalare allo spettatore paesaggi ariosi e verdeggianti, sono mostrate come un ambiente ostile, isolato, con alberi alti che nascondono il cielo come in una delle più terribili fiabe dei Fratelli Grimm e danno un senso di claustrofobia, quella nella quale è costretta a vivere Sonia, specchio del suo stato di schiavitù semi-volontaria. Primo Amore non ci racconta una storia d’amore, non è un film sull’amore, ma un film che racconta la storia di due tremende solitudini, dell’intimità quasi maniacale che si crea tra un uomo ed una donna divorati dalle loro assurde morbosità. E’ quindi un film sulla patologia dell’amore, sul rapporto distorto di potere nella relazione uomo-donna: cosa e quanto si è disposti a fare per amore? Cosa è lecito o non lecito chiedere ed aspettarsi dal proprio partner? Quante donne subiscono gli eccessi dei loro compagni senza che essi arrivino alla psicopatologia? A quale grado di umiliazione può portare un rapporto malato, basato sul controllo dell’altro? Queste sono le domande che Matteo Garrone ci pone trasponendo sullo schermo la vicenda di Marco Mariolini, spunti di riflessione, in un’epoca di aumento di femminicidi, per tutte quelle donne che in nome di un ostentato amore accettano di subire ogni sorta di vessazione da parte di chi, invece, dovrebbe curarle e rispettarle e star loro accanto da compagno di vita e non da aguzzino.
Che Garrone sia uno dei migliori Autori attuali del nostro cinema direi che adesso è innegabile ed incontestabile, e che questo Primo Amore, sicuramente meno conosciuto del successivo Gomorra, sia una piccola grande opera d’arte, lo mostrano tutti i vari riconoscimenti ottenuti: presentato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 2004, si aggiudicò il premio come Migliore Colonna Sonora, assolutamente meritato dalla Banda Osiris, e Garrone fu candidato all’Orso d’Oro; stessa cosa successe ai David di Donatello, dove la candidatura arrivò anche alla Cescon, a Domenica Procacci come miglior produttore ed a Marco Onorati come miglior fotografia. Sia la Cescon che la Banda Osiris si aggiudicarono poi il Globo d’Oro ed il Premio Flaiano, e la Banda Osiris anche il Nastro d’Argento. Un vero e proprio tripudio di premi che fa di questa pellicola un’eccellenza del Made in Italy assolutamente da recuperare.
https://www.imdb.com/title/tt0396818/
Ilaria Monfardini
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