Pupi Avati, un regista di culto nella terra del diavolo

Nel Dicembre 2019 è approdato nelle librerie il saggio Pupi Avati – La terra del diavolo, dedicato al grande regista romagnolo, proprio di recente tornato alla grande nelle sale cinematografiche col film Il Signor Diavolo.

Il libro, scritto da Claudio Miani e Gian Lorenzo Masedu per le edizioni Asylum Press Editor eImp[O]ssible Book, si avvale dei prestigiosi contributi di Francesco Lomuscio, caporedattore del nostro Mondospettacolo, Emanuele Rauco, Christian Di Mauro e Simone Scardecchia. L’occasione per ripercorrere in modo originale e non scontato la carriera del bravo cineasta, autore di opere che sono dei veri e propri cult, come La casa dalle finestre che ridono, Tutti defunti tranne i morti, Regalo di Natale e Il cuore grande delle ragazze.

Presentazione Libro – La Terra del Diavolo

Ho avuto l’onore di presenziare alla presentazione del volume presso la libreria Mondadori di via Piave a Roma, insieme a molti giornalisti e addetti ai lavori. Nell’occasione Pupi Avati è stato molto disponibile col pubblico presente, lasciandosi andare a ricordi inediti sul suo percorso artistico e considerazioni più generali sull’attuale momento del cinema italiano. Ha esordito simpaticamente esternando le iniziali perplessità sul progetto di questo libro a lui dedicato, salvo successivamente ricredersi quando ha potuto constatare la cura nei contenuti e nei particolari editoriali e di impaginazione.

Il regista ha poi rievocato la sua iniziale passione per la musica, che ha presto abbandonato quando si è reso conto che un suo collega di allora, un “certo” Lucio Dalla, suonava il clarinetto molto meglio di lui! Per poi passare a raccontare i difficili inizi della sua attività cinematografica con opere astruse e “difficili” che stentavano a penetrare sul mercato. La svolta c’è stata quando ha compreso che i film sono fatti “per” il pubblico e non “contro” di esso: si possono coniugare qualità e nobiltà di contenuti con le esigenze dello spettacolo.

Pupi Avati non ha potuto esimersi dal ringraziare pubblicamente Ugo Tognazzi in quanto il grande attore cremonese, accettando di lavorare con lui, ancora semisconosciuto, gli ha consentito di entrare nel giro delle distribuzioni che contano. Il film in questione è La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone, che per l’appunto, ha rivelato Avati, imponendolo tra i più personali ed interessanti autori italiani di tutti i tempi, uno dei pochi capaci di abbracciare un’infinità di generi narrativi.

Pupi ha poi fatto il punto sull’attuale situazione della “settima arte”: oggi, a suo giudizio, mancano i veri produttori di una volta che credevano in un progetto e lo finanziavano rischiando in proprio, sostenendo l’opera in modo da spingerla ad incassare, proprio perché dovevano recuperare il denaro investito. In effetti, da un po’ di anni i meccanismi finanziari dell’industria dell’audiovisivo sono cambiati: i cosiddetti “produttori” gestiscono risorse esterne e il risultato artistico passa in secondo piano. Tutto è basato sui numeri e la qualità viene confusa con la quantità.

Per tornare a Pupi Avati – La terra del Diavolo, devo ammettere che si tratta di un volume denso di significato, all’interno del quale una lunga chiacchierata con il Maestro bolognese ci consente di ripercorrere non solamente il suo cinema e quel mondo di “genere” oramai quasi completamente dimenticato, ma soprattutto di sondare l’importanza delle radici e della terra all’interno di quell’evoluzione sociale che ha segnato il nostro Paese sin dagli anni del dopoguerra.

In appendice al volume, inoltre, è presente un prezioso omaggio esclusivo di Pupi Avati: il quaderno personale di appunti e schizzi utilizzato per la realizzazione della pellicola, che va ad aggiungersi ai quattro saggi tecnici, all’ampia intervista al Maestro e al vasto repertorio fotografico d’archivio gentilmente concesso dalla Duea Film, la casa di produzione il cui titolare è Antonio Avati, fratello del maestro.

Per concludere, non posso non fare i miei complimenti all’amico Francesco Lomuscio (nella foto qui sopra insieme al cineasta): senza nulla togliere agli altri, il suo intervento nel libro è senz’altro quello più accattivante e preciso, a testimonianza della sua grande competenza e professionalità.

 

Pierfrancesco Campanella