Radio Beat: lo spettacolo musicale dei Riding sixties conquista l’Auditorium del Seraphicum

Con annesso evidente omaggio a Barbara Ann dei Beach boys e finale che cita quello di You really got me dei Kinks, l’apertura è affidata a Coverband, pezzo originale che dà anche il titolo al loro secondo album, datato 2007.

Sono i Riding sixties – storica band romana fondata nel 1992 – e il loro spettacolo Radio Beat, con il quale, dopo il successo di pubblico e di critica riscosso presso il Teatro Traiano di Fiumicino, il Teatro Trastevere, il Teatro Tor Bella Monaca e il Teatro Mongiovino/Accettella di Roma, Giovedì 28 Marzo 2019 hanno conquistato la folta platea dell’Auditorium del Seraphicum, nella capitale, nel corso di un evento prodotto dall’Associazione Culturale Sperimentiamo Arte Musica Teatro.

Spettacolo narrato da Claudia Borzi nei panni di una dj, presente sul palco insieme a Marco Bertogna (basso e voce), Enzo Civitareale (batteria e voce), Giacomo Docimo (voce e chitarra), Alberto Bolli (voce e tastiere) e il frontman Pietro Maria Tirabassi (voce e chitarra) per raccontare la storia di buona parte delle canzoni che contribuirono a rendere mitico e (in)imitabile il beat negli anni Sessanta, a cominciare da C’è una strana espressione nei tuoi occhi.

Prima di eseguirla in una versione appositamente restaurata, infatti, Tirabassi spiega la genesi della intramontabile hit dei Rokes, facendo anche notare come il riff introduttivo di chitarra possa essere stato un modello per quello di Ticket to ride dei Beatles, ai quali si devono le Hey Jude e All you need is love poste a chiusura dello show, in anticipo rispetto alla stonesiana (I can’t get no) Satisfation.

La All you need is love in cui, per l’occasione, viene coinvolto l’Eugeno Saletti conosciuto in ambito musicale come Sale, rientrante tra gli ospiti della serata insieme a Giulia Dali della Scuola sperimentale di canto, alla quale viene affidata, invece, L’abito non fa il beatnik di Evy, cover italiana di Keep on running dello Spencer Davis Group.

Perché, man mano che, tra concerto e intrattenimento a scopo didattico, si avvicendano interessanti aneddoti relativi al significato del sostantivo “beat” e alla polemica riguardante la moda dei capelloni in Italia, è il fenomeno delle cover nostrane ad occupare una capiente fetta dell’interessante esibizione, tra Una bambolina che fa no, no no dei Quelli e Sono un ragazzo di strada dei Corvi, interpretate nelle loro versioni originali da Michel Polnareff e dai Brogues.

Ma, in mezzo ad un travolgente calderone in note comprendente Yeeeeeeh! dei Primitives, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling stones di Gianni Morandi, Prendi la chitarra e vai dei Motowns e accenni di Heartbreak hotel di Elvis Presley e La canzone del sole di Lucio Battisti, c’è anche il tempo per gag, esilaranti telefonate e momenti per fare ironia sul tutt’altro che esaltante lato estetico di determinati complessi dell’epoca dell’Equipe 84 e dei Dik Dik.

Come pure c’è il tempo di ricordare – sempre con una indispensabile venatura lontana dall’essere seriosi – che non tutto era favoloso negli anni Sessanta, in quanto bisogna precisare, per esempio, che il beat non risiede dove si collocano anche I Watussi di Edoardo Vianello, appartenente ad un’altra categoria popolare seppur divertente.

E, se Twist and shout, Con le mie lacrime e il medley costituito da Tell me e dal corrispettivo tricolore Quel che ti ho dato anticipano l’alto coinvolgimento regalato da Io ho in mente te, posta a conclusione della prima fase delle circa due ore, il secondo atto apre all’insegna della contestazione giovanile, con Come potete giudicar dei Nomadi, Che colpa abbiamo noi dei già citati Rokes e le gucciniane Auschwitz e Dio è morto, quest’ultima a suo tempo curiosamente censurata dalla Rai ma trasmessa da Radio Vaticana.

Il resto, senza dimenticare l’importanza del Robert Allen Zimmerman a tutti noto con lo pseudonimo Bob Dylan, lo fanno, nel mucchio, altri splendidi classici del calibro di The house of the rising sun degli Animals, California dreamin’ dei Mamas and Papas, Mr Tambourine man dei Byrds, I can’t explain degli Who e Good vibrations dei sopra menzionati Beach boys… tutti rigorosamente suonati dal vivo per dispensare, appunto, tante “buone vibrazioni” destinate a riconfermare i Riding sixties tra le migliori cover band dello stivale più famoso del globo.

 

Francesco Lomuscio