Rambo – Last blood: l’ultima tremenda e intima vendetta

Rambo (Sylvester Stallone) è ancora lì, in quel vecchio ranch di famiglia perso nelle sconfinate praterie dell’Arizona dove, alla fine di John Rambo, quarto capitolo della fortunata saga iniziata nel 1982, aveva deciso di tornare. È ormai avanti con l’età, stanco e schiacciato dal peso di una sofferenza che si porta dietro da tutta la vita. I fantasmi e le paure del passato non lo abbandonano e vive in un labirinto di tunnel scavato sotto il terreno della casa.

Eppure, in Rambo – Last blood il veterano della guerra del Vietnam è deciso a condurre un’esistenza tranquilla. Condivide le giornate con la vecchia amica Maria (Adriana Barraza) e la nipote di lei, Gabrielle (Yvette Monreal), che cresce come una figlia, mentre si dedica all’addestramento dei cavalli, a pulire stalle e a svolgere lavori da cowboy, aiutando perfino la forestale nella ricerca delle vittime di un’alluvione.

La serenità dura poco. Alle soglie del college, Gabrielle decide infatti di varcare il confine con il Messico per cercare risposte da una padre crudele che l’ha abbandonata. Qui viene rapita dagli spietati fratelli Martinez, Hugo (Sergio Peris-Mencheta) e Victor (Oscar Jaenada), trafficanti di esseri umani che conducono la ragazza nel giro della prostituzione. A zio Rambo non resta che provare a salvare la nipote gettandosi, con l’aiuto della giornalista Carmen Delgado (Paz Vega), nell’inferno di quella che sarà la sua ultima battaglia.

Rambo – Last blood è un capitolo diverso dagli altri. La guerra di John Rambo non è più quella di un Paese. È una vicenda tutta privata che coinvolge e minaccia gli affetti più intimi dell’ex soldato. È una tremenda guerra interiore che sfocia in una spietata lotta per difendere la propria famiglia e la propria casa.

La presentazione di questa famiglia e di questa casa occupa gran parte di una storia che inizia pacata e si snoda a lungo con un ritmo lento. Solo il rapimento di Gabrielle e la seconda parte del lungometraggio riportano l’anti-eroe sui binari di un’esistenza condannata ad una violenza truculenta e senza fine.

Vendetta, rabbia e azione riempiono lo schermo e restituiscono la furia implacabile del Rambo che conosciamo. A circa mezzora dai titoli di coda, il regista Adrian Grunberg ci catapulta in un bagno di sangue dalle tinte splatter, in una carneficina senza filtri che non risparmia la crudezza e che, quasi liberatoria, regala la soddisfazione attesa dall’inizio.

Il ritorno all’implacabile natura da guerriero è, però, forse una consolazione per lo spettatore ma non per un Rambo che, alla fine, resta un uomo condannato a rimanere solo, a combattere con i fantasmi di un passato che non lo abbandona e con i demoni di un presente che lo priva di ciò che più vuole difendere.

Senza i toni dell’esaltazione, Rambo – Last blood non è allora che un obiettivo puntato sul congedo di un guerriero ormai stanco. Un congedo che non cede a smancerie e pateticità ma che, su titoli di coda accompagnati da scene dei precedenti capitoli, saluta nostalgicamente e nel modo più adeguato una figura intramontabile dell’immaginario collettivo.

 

 

Valeria Gaetano