Contromano, un Albanese in Africa

Ormai dedito al solo ruolo di interprete, avendo preso parte negli ultimi anni a pellicole come  Qualunquemente di Giulio Manfredonia, L’abbiamo fatta grossa di Carlo Verdone e To Rome with love di Woody Allen, Antonio Albanese – reduce dal recente successo di Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani – decide di tornare dietro la macchina da presa, abbandonata nel 2002, ai tempi de Il nostro matrimonio è in crisi.

Per questo sentito ritorno decide di approfondire la tanto discussa questione razziale del nostro paese, che mette la popolazione italiana davanti ad un bivio morale destinato a spingere spesso verso l’intolleranza.

Da questo spunto, mette in piedi con Contromano una trama on the road, interpretando anche il ruolo del commerciante milanese Mario Cavallaro, titolare di un negozio di calze ereditato dal proprio padre e uomo dalla visione quadrata riguardo a ciò che è diventata ormai la sua città, piena di extracomunitari.

Questi ultimi, infatti, si rivelano essere per Mario una vera e propria piaga, invadendo la sua tranquilla esistenza e penalizzando l’attività del suo negozio.

Ed è soprattutto Oba (Alex Fondja), ambulante africano che vende calzini davanti alla sua bottega, a dargli filo da torcere, portandolo ad una soluzione drastica: rapire lo straniero di colore per accompagnarlo gentilmente nel suo paese di origine, insieme alla bellissima sorella Dalida (Aude Legastelois), che finisce per fare breccia nel cuore del rude Cavallaro.

Con un occhio mirato ad analizzare alla perfezione la questione razziale dello stivale tricolore, Albanese dirige Contromano azzardando un approccio molto sentito, in quanto apre le danze in maniera piuttosto leggera, seppur non priva di una certa ferocia, per poi avviarsi ad un epilogo molto più serioso.

Il pericolo di ottenere risultati altalenanti, quindi, era dietro l’angolo, invece, a sorpresa, l’attore-regista se la cava egregiamente in riguardo, sviluppando attentamente il plot e prestando attenzione a non tagliare eccessivamente con l’accetta determinate caratterizzazioni.

Infatti Albanese, manifestando con un certo coraggio, riesce a chiudere un discorso sull’intolleranza razziale scoprendo attentamente determinate carte e rendendo il suo Cavallaro un uomo più sensibile di ciò che sembra.

Il suo destreggiarsi con due interpreti di colore come Fondja e Legastelois, poi, contribuisce ad alzare le sorti del film, giocando altre sfumature con conseguenti colpi di scena e mescolando ulteriormente le citate carte.

Certo, l’opera sarebbe stata totalmente promossa se fosse riuscita ad evitare una certa caduta di ritmo avvertibile nel corso della sua seconda parte, ma bisogna dire che Albanese realizza un lungometraggio ben calibrato e mai troppo scontato, evitando addirittura di risultare patetico negli esiti finali e regalando, di conseguenza, uno dei titoli compiutamente più originali del nostro panorama cinematografico sull’argomento razzismo.

 

Mirko Lomuscio