Recensione: Metti la nonna in freezer, quando sei morta non puoi più nasconderti

Quella di tenere nascosti i corpi senza vita dei propri cari deceduti in età avanzata per poter continuare a percepirne la pensione non è una trovata di fantasia, bensì una triste realtà che, in più di un’occasione, ha occupato le pagine di cronaca della stampa.

Una realtà che Nicola Giuliano – produttore del lungometraggio premio Oscar La grande bellezza – ha pensato bene di suggerire allo sceneggiatore Fabio Bonifacci per mettere su carta la turbolenta vicenda di una giovane restauratrice dalle fattezze di Miriam Leone, la quale, in difficoltà economiche e in aria di bancarotta, vivendo grazie al vitalizio della nonna incarnata da Barbara Bouchet decide di attuare proprio una truffa di questo tipo, dal momento in cui viene improvvisamente a mancare.

Truffa in cui è supportata da due amiche interpretate da Lucia Ocone e Marina Rocco e che procederebbe a gonfie vele se ad innamorarsi inaspettatamente di lei non fosse un incorruttibile finanziere dai connotati di Fabio De Luigi, del tutto ignaro della situazione e destinato a rappresentare un fastidio di non poco conto.

Un Fabio De Luigi che, imbranato e tutt’altro che lontano dalle imprese che resero popolare il comico americano Jerry Lewis, si cimenta anche in un ridicolo scontro con un venditore di rose ambulante, regalando non poche situazioni divertenti comprendenti, oltretutto, una cena all’interno di un ristorante piuttosto chic in cui la già citata Leone s’improvvisa in maniera esilarante cafona psicopatica.

Perché, man mano che a complicare il tutto provvede l’arrivo di Eros Pagni nei panni di un vecchio amore della defunta, è proprio la fino ad oggi ignota e qui evidente capacità trasformistica sfoggiata dalla ex Miss Italia a rappresentare uno dei funzionali ingredienti di Metti la nonna in freezer; tanto più che, insieme alle due brave co-protagoniste di cui sopra, forma un irresistibile trio rosa in grado di strappare risate in quantità (il discorso sul “femminismo di destra” è da antologia).

E, se il matrimonio di apertura testimonia immediatamente un look internazionale che, a causa anche della tipologia di fotografia e dei colori di scenografie e costumi, sembra rimandare al cinema di genere spagnolo nello stile di Álex de la Iglesia, la circa ora e quaranta di visione non fatica ad apparire accostabile agli stilemi di tanta commedia a stelle e strisce per quanto riguarda il suo svolgimento, ulteriormente complice la azzeccata colonna sonora di hit straniere (si spazia da Let my love open the door di Pete Townshend a Happy together dei Turtles).

Sebbene, al loro primo lungometraggio destinato al grande schermo, dietro la macchina da presa i due specialisti televisivi Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi riescano comunque nell’impresa di far mantenere un cuore italiano ad un coinvolgente e ritmatissimo spettacolo costruito su uno script mai prevedibile.

 

Francesco Lomuscio