Recensione: Oltre la notte, il cupo dramma umano e la sete di vendetta hanno il volto di Diane Kruger

Una vita in frantumi, una legge che non difende le vittime, il bisogno di giustizia, il desiderio di vendetta. Attorno a questi quattro cardini si avvolge l’intreccio di Oltre la notte del regista di origine turca Fatih Akin.

Al centro della storia c’è Katja (una mirabile Diane Kruger) che, in quello che sembrava solo un pomeriggio di svago con la sorella Birgit (Samia Muriel Chancrin), perde il marito Nuri (Numan Acar) e il figlioletto Rocco (Rafael Santana) in un attentato esplosivo. Insieme alle due vittime, salta in aria l’intera esistenza di Katja. Supportata dall’amico e avvocato di famiglia Danilo Fava (Denis Moschitto), la donna affronta un processo che si conclude senza soluzione e che la spinge sulle tracce dei sospettati, una coppia neo-nazista (Hanna Hilsdorf e Ulrich Brandhoff), prendendo la strada pericolosa della giustizia fai da te.

Akin dà forma a una storia che, divisa in tre capitoli, punta il dito contro il terrorismo. Un terrorismo che non è, però, quello comune nella mente di noi spettatori. Perché gli attentatori questa volta non sono gli altri, gli stranieri, ma siamo noi, i bianchi. L’ ”altro” è la vittima.

Nuri è infatti un immigrato curdo della Turchia. Non è uno stinco di santo. Ha un passato macchiato dallo spaccio di droga. Ma ha pagato i suoi debiti e, uscito dal carcere, si è inserito al meglio nel tessuto sociale, dedicando il suo tempo a lavoro e famiglia. Ecco, perciò, che Oltre la notte porta la discussione relativa agli attentati terroristici su un piano diverso, dove né religione, né politica possono essere assunte a cause giustificatrici di una violenza dettata solo da un odio che è senza colore.

Accanto al terrorismo che Akin mette in scena con un richiamo agli attentati messi a segno in Germania tra il 1997 e il 2011 dall’organizzazione neonazista Nationalsozialistischer Untergrund, due altri temi percorrono le linee della vicenda di Katja: la giustizia e la vendetta.

Il lungo processo che occupa il secondo capitolo del film è l’immagine di una legge che non offre garanzie o speranze e non sa proteggere i colpiti, soprattutto se stranieri. E, per questo, rischia di accrescere un bisogno incontrollabile di vendetta e risarcimento e di trasformare le vittime in nuovi carnefici. Così succede a Katja, che, da parte lesa, nel capitolo finale si trasforma in figura vendicatrice e piena di rabbia, come gli attentatori di cui va in cerca.

Alla fine, quindi, che si sia vittime o carnefici, nel film di Akin oltre la notte, in fondo, non si arriva mai.

 

Valeria Gaetano