Recensione: Peter Rabbit, Will Gluck porta al cinema il coniglio nato dalla mente di Beatrix Potter

Scontato, mediocre e alla lunga un po’ noioso. È il Peter Rabbit che il regista Will Gluck, ispirandosi ai popolari racconti per l’infanzia nati dalla penna di Beatrix Potter a inizio Novecento, porta sullo schermo con l’omonimo film live action. Al centro della storia, ovviamente, il coniglio dalla giacca blu.

Dopo aver perso il padre finito sulla tavola del vecchio e temibile Mr. McGregor (Sam Neill), Peter Rabbit passa le giornate ad assaltare l’orto del nemico e a fare incetta dei suoi ortaggi, accompagnato nelle scorribande dal cugino Benjamin e dalle tre sorelle Flopsy, Mopsy e Cotton-Tail. Quando Mr. McGregor muore, Peter e la sua banda pensano di potersi finalmente riappropriare di quel pezzo di natura che un tempo apparteneva ai conigli. Ma non sanno che dovranno fare presto i conti con McGregor Junior, Thomas (Domhnall Gleeson), pronipote del vecchio e nuovo proprietario di casa e orto. Una sola cosa potrà fermare l’ostilità tra Peter e Thomas: l’affetto condiviso per la dolce vicina di casa, la pittrice Bea (Rose Byrne).

Nel Peter Rabbit di Gluck il classico soccombe alla modernità. E il coniglio birichino che nei racconti della Potter finiva in punizione a letto senza cena si trasforma in un bulletto indiavolato che ne combina di tutti i colori e si arma persino di rastrelli ed esplosivi.

Con ovvio richiamo a tanti film d’animazione già visti e rivisti, anche nel prodotto di Gluck è chiaro il tentativo di fondere divertimento e insegnamento pedagogico. Peccato che il risultato sia deludente su entrambi i fronti. Niente colpi di scena, niente originalità e un umorismo piuttosto sboccato che di risate autentiche ne suscita ben poche. Non si devia mai dal binario della banalità e, se si aggiunge che le bricconate di Peter & Co. sono accompagnate da un’ossessiva colonna sonora pop forzata e alla lunga fuori luogo, si ha la sensazione che Gluck abbia puntato più su una storia in linea con la moda contemporanea che sulla sincera rivisitazione di un classico.

Nemmeno dal già citato punto di vista pedagogico Peter Rabbit si guadagna un onore al merito. L’elogio della vita in mezzo alla natura, del mangiare sano e dell’importanza di amore e amicizia non mancano di venir fuori tra un assalto all’orto e l’altro. Mai, però, si va oltre il piano della superficialità e dello stereotipo. Questo, in fondo, non sorprende se si pensa che la storia del coniglio in giacca blu è pur sempre rivolta al pubblico dei più piccoli. L’unico aspetto su cui Peter Rabbit non delude è la capacità di mescolare perfettamente animazione e attori in carne e ossa, tanto da portare lo spettatore a dimenticarsi che il coniglio e gli animali non sono veri come gli “amici” umani. Ma un’intera pellicola non si può reggere su un solo pregio.

Se si va al cinema con l’aspettativa di ritrovare il Peter coniglio disegnato ad acquerello o un film d’animazione memorabile, la delusione sarà presto dietro l’angolo. I novantatré minuti del film di Gluck non sono che mero passatempo per bambini, anche un po’ monotono.

 

Valeria Gaetano