Recensione: Il ragazzo invisibile – Seconda generazione, torna il supereroe di Salvatores

Con Il ragazzo invisibile, il regista premio Oscar Gabriele Salvatores cercò di convincerci nel 2014 che anche il cinema italiano può essere in grado di affrontare generi ormai lontani anni luce dalla propria natura, come quello del cinecomic.

Una sfida vera e propria, più che un progetto in cui credere con tutto se stesso, anche perché l’opera arrivò nelle sale con risultati sì difendibili, ma non i migliori nel settore (chi avrebbe fatto di più sarebbe stato, un anno dopo, Gabriele Mainetti con il suo Lo chiamavano Jeeg Robot).

Nonostante ciò, la cosa non ha impedito a Salvatores di ritagliarsi il suo successo personale in riguardo, tanto che ha gettato i semi per un sequel (annunciato già nell’epilogo del film del 2014) che, inevitabilmente poi ha preso vita.

Il ragazzo invisibile – Seconda generazione è, quindi, quel proseguimento che fa maggior luce sulla trama accennata nel primo capitolo, ovvero la parentesi dedicata all’universo dei cosiddetti “diversi”, persone munite di poteri speciali come i mutanti protagonisti della saga X-Men.

La storia prende avvio dopo la tragedia che ha visto il giovane protagonista Michele (un sempre più alto Ludovico Girardello) perdere la madre adottiva Giovanna (Valeria Golino), vittima di un incidente automobilistico. Un evento che lascia nel ragazzo una tremenda crisi depressiva, dovuta anche al rapporto che vive insieme ai suoi compagni di classe.

La stessa classe in cui giunge una nuova alunna: la misteriosa Natasha (Galatea Bellugi), la quale lo porta alls coperta di una serie di novità sconcertanti, a cominciare dall’apparizione improvvisa della vera madre Yelena (Ksenia Rappoport), donna fuggita dai campi di concentramento per “mutanti” e creduta per lungo tempo morta.

Michele sente quindi di aver ritrovato la famiglia che credeva ormai perduta, salvo poi scoprire che dietro a tutto ciò si cela una macabra realtà che mette il mondo delle “persone speciali” contro quello dei cosiddetti “normali”. Ed è qui che intuisce di dover entrare in azione per fronteggiare chi vorrebbe esercitare del male sul prossimo.

Davanti alla visione di un’opera come Il ragazzo invisibile – Seconda generazione l’interrogativo sorge spontaneo: perché rifare un qualcosa che scimmiotti per tematiche e situazioni un modello come la saga di X-Men dopo che l’operato di Bryan Singer & co. ha già provveduto a dire un po’ tutto sull’argomento?

Salvatores pensa di poter fare il suo punto di vista in riguardo, cercando di ricreare un universo fumettistico pregno di fantasia; ma, al di là della sua professionalità, si sbaglia di grosso.

Questo sequel, purtroppo, si muove su elementi e caratterizzazioni troppo abusati (il lager dei mutanti, gli umani cattivi e potenti), senza approfondire nulla nella giusta maniera in fase di scrittura (improbabile la sceneggiatura a cura di Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo).

Inoltre, la recitazione evidentemente al di sotto della media non offre il degno contributo (la Rappoport è la peggiore del lotto), penalizzando ulteriormente la mancata riuscita del tutto.

Certo, Salvatores non manca di sfoggiare una buona tecnica in determinati momenti, ma Il ragazzo invisibile – Seconda generazione lascia tranquillamente intuire la maniera in cui poco conti il materiale fumettistico per chi lo ha realizzato, diventando approssimativo in alcune situazioni (l’inspiegabile tardiva ribellione mutante nel lager raccontata nel flashback) e nella creazione di certi personaggi (mutanti che hanno poteri economici, in quanto ad effetti speciali, come far dormire la gente).

Insomma, ci troviamo dinanzi alla parodia involontaria di un qualsiasi cinecomic internazionale come si deve, il citato X-Men in primis.

Mirko Lomuscio