Recensione: Sami Blood, un appassionante viaggio alla scoperta di se stessi

L’impulso irrefrenabile a scappare, a lavarsi di dosso l’odore del proprio sangue. Il confronto con le proprie origini. La ribellione. Il momento inevitabile del ritorno alla propria Terra, tra la propria gente. Tutto raccontato in modo delicato e appassionante. È questo Sami Blood. È la lunga riflessione sul prezzo dell’integrazione e sulle rinunce che richiede, è lo scontro tra futuro e tradizione, è la lacerazione tra il chi si è e il chi si vuole essere, è lo sguardo esterno e discreto sul mondo interiore di una ragazzina che deve scegliere chi diventare.

Elle Marja (Lene Cecilia Sparrok) è una quattordicenne Sami, cresciuta nel nord della Svezia tra allevatori di renne e vittima delle discriminazione degli anni Trenta che sogna una vita diversa in un mondo civilizzato e cittadino, in cui non sentirsi “un animale da circo” o un oggetto di studi antropologici. Per ottenere questa vita, però, deve diventare qualcun altro. Rinnega perciò le sue origini, rigetta il suo sangue, abbandona la famiglia e l’amata sorella Njenna (Mia Erika Sparrok). Cambia nome e identità. Diventa Christina, inizia a parlare svedese e si trasferisce a Uppsala.

 La vita di Elle Marja scorre sullo schermo nella forma di un flashback che assume le fattezze di un ricordo lungo quasi tutto il film. All’inizio e alla fine è Christina (Maj-Doris Rimpi) che ricorda, in mezzo è Elle Marja ad essere ricordata.

In centocinquanta minuti con la sua toccante opera prima, la regista Amanda Kernell tesse le fila di una riflessione che va oltra le vicende, mai raccontante fino in fondo, della vita della piccola Sami in fuga dal proprio mondo. Il ricordo assume il senso più alto di una meditazione sulla discriminazione e sul bisogno di affrancamento. E Sami Blood, da storia di una vita personale, diventa la sintesi del momento in cui ciascuno è irrimediabilmente costretto a confrontarsi con le proprie origini e a scegliere quale strada percorrere.

Elle-Marja/Christina forse ottiene la vita che vuole. Ma sa anche di dover chiedere perdono per il prezzo che, per le sue scelte, lei e gli altri hanno dovuto pagare. Il suo sguardo di adulta, perso tra i meravigliosi meandri dei paesaggi del nord in cui la donna è costretta a tornare per il funerale della sorella, ha il sapore di un bilancio. Un bilancio che lascia con tante domande e meno risposte e che, con estrema finezza, costringe anche lo spettatore a pensare.

Questo fa di Sami Blood un film intimo e, insieme, sorprendente e appassionato, che merita più di una visione.

Valeria Gaetano