Revenge: non violentate Jen

Prendiamo la milanese Matilda Lutz – vista, tra l’altro, in The ring 3 e nel mucciniano L’estate addosso – e, sotto la regia della debuttante parigina Coralie Fargeat, caliamola nei pochi panni della sexy e sfacciata Jen, invitata dal suo ricco amante Richard alias Kevin Janssens alla tradizionale battuta di caccia che organizza insieme a due amici nel deserto.

Il deserto che, magnificamente illuminato dalla splendida fotografia di Robrecht Heyvaert, fa da arida e affascinante scenografia a Revenge, destinato a rivelarsi un puro esempio di stupro e vendetta in fotogrammi dal momento in cui la giovane protagonista, sessualmente abusata e creduta morta, non esita a trasformarsi nella cacciatrice dei suoi carnefici.

Esempio di stupro e vendetta in fotogrammi che, a differenza di autentici classici e cult del filone quali L’ultima casa a sinistra di Wes Craven e Non violentate Jennifer di Meir Zarchi, non intende puntare, però, alla fredda resa di realismo, bensì a concretizzare – complici i tutt’altro che credibili risvolti – uno spettacolo da schermo che sembra avvicinarsi, in un certo senso, a determinate vicende dei supereroi da fumetto.

Infatti, pur non possedendo alcun potere straordinario, Jen riesce a sopravvivere ad una trave di legno che le trafigge il torace, per poi passare alla violenta resa dei conti comprendente, tra l’altro, un occhio infilzato e un vetro che, conficcato sotto la pianta del piede, riesce a mettere a dura prova non solo gli spettatori maggiormente sensibili.

Resa dei conti che si consuma attraverso un ritmo lento ma coinvolgente, chiaramente volto a far apparire ancor più estenuante l’attesa nei confronti della progressiva eliminazione di cattivi; man mano che la oltre ora e quaranta di visione non solo gode di un sonoro che provvede a rafforzare la sensazione di disturbo trasmessa dalle immagini, ma sfodera un comparto visivo decisamente accattivante, a partire dalle formiche immortalate in dettaglio mentre scorrazzano sulla ferita aperta.

E ne è un’ulteriore conferma il lungo scontro finale in casa, con la steadycam che, opportunamente sfruttata nel generare tensione, testimonia la presenza dietro la macchina da presa di una cineasta che, almeno nel caso di Revenge, a quanto pare non incappa mai in banali soluzioni narrative.

 

 

Francesco Lomuscio