Riccardo Morandini: quel gusto antico per la bellezza

Quanta bellezza antica dentro questo fluire digitale del tempo e della sensibilità umana secondo la penna e la forma canzone di Riccardo Morandini che ci porta all’ascolto del suo primo singolo personale dal titolo “La sindrome di Erasmo”, primogenito di un lavoro esteso che arriverà prossimamente. Questo restare sospesi senza arte ne parte, troppo spesso, nel continuo aver tutto nell’immediato… Morandini lo descrive attraverso un pattern che rimanda ai più formati esperimenti pop di Battiato, a quelle retromanie alla Baustelle e a tutto questo mondo dream che sfocia fin dentro le scritture dei più giovanissimi Siberia. Bello anche questo video diretto da Aurora Ovan in cui la bellezza del corpo, mai volgare, si rende opportuna e puntuale. Attendiamo fiduciosi lo sviluppo del tutto…

Quanto romanticismo classico dentro questo video. Quanta grazia… quanta bellezza. E noi partiamo sempre da qui. Per Riccardo Morandini cos’è la bellezza, cosa significa?
Domandone, forse dovresti chiedere a Platone! A parte gli scherzi, posso dire che ho sempre avuto un’idea molto flessibile e mutevole del bello musicale e non. Trovo facile immedesimarmi nei punti di vista più diversi e non sono mai stato un assolutista di una determinata visione estetica. Penso che i “problemi” estetici vadano risolti artigianalmente caso per caso e non sono un sostenitore dei sistemi. Sulla funzione del bello in generale, nell’arte e nella natura, penso che sia quella di elevarci ed ispirarci, sottraendoci alla routine e alla banalità della vita quotidiana.

Estetica e contenuto. Molte le radici del tuo suono, molte le radici da cui attingono le ballerine. Ma dove e quanto pensi di aver rintracciato un equilibrio tra quello che è bello e quello che è utile al messaggio?
Se ho capito bene la domanda, effettivamente c’è stato un momento in cui mi sono posto il problema di aver realizzato un videoclip che centrasse poco con il brano e con il suo messaggio. Poi in realtà sono stato felice di questa scelta. Mi piace il fatto che il videoclip non racconti pedissequamente il contenuto del pezzo, ma possa essere una narrazione altra che solo in certi punti si interseca con il testo. Comunque i punti d’incontro ci sono e sono i vari elementi simbolici presenti nel video che rimandano al significato della canzone.

“La sindrome di Erasmo”, questo “non collocarsi” definitivamente, è il pane di ogni giorno se vogliamo… ma di più, pensi che ci sia una possibilità di sviluppo, una ragione di futuro o pensi che sia soltanto un male che si annida dentro la continua ricerca di una collocazione?
Senza dubbio se un tempo le prospettive di vita erano più “monocentriche” (per tutta la vita uno stato, un lavoro, una relazione amorosa), la cosa poteva essere rassicurante ma anche opprimente. Ovviamente il gran numero di occasioni di cambiamento che ci offre la contemporaneità può anche essere un vantaggio. L’importante è che questa sovrabbondanza di opportunità non si trasformi in una tendenza psicologica morbosa (la famosa sindrome di Erasmo) in cui non si riesce ad abbracciare davvero la situazione di vita attuale perché sempre “distratti” da altri scenari possibili… e che non si riesca a coltivare davvero dei legami affettivi perché vengono sempre vissuti come un ostacolo a queste possibili svolte.

Battiato su tutti… probabilmente anche il dream pop digitale di questi ultimi anni… raccontaci da dove nasce il suono di questo brano.
Battiato mi piace molto anche se in verità la strumentazione utilizzata non è così vicina al suo mondo. Le soluzioni sono scaturite molto naturalmente da L’amor mio non muore, lo studio di Alberto Bazzoli e Roberto Villa che hanno anche suonato rispettivamente le tastiere e il basso. Il brano è stato registrato su nastro e poi passato in digitale per il mix. La tastiera che caratterizza di più il brano è sicuramente la Logan string melody (tastiera di fattura marchigiana prodotta negli anni ’70 per simulare gli archi). Nel ritornello si aggiungono un moog e un synth Yamaha. Quando ho scritto l’arrangiamento l’ho pensato come se dovesse essere eseguito da archi veri, ma è senza dubbio più efficace l’esito con la Logan. Trovo interessante lavorare mischiando i vari mondi: pensare gli arrangiamenti per strumenti acustici ma suonarli con dei synth, registrare in analogico ma mixare in digitale… chiaramente cercando di prendere il buono di ogni ambito.

E parlando di “Eden”? torna tanto questo concetto di spiritualità dentro la tua forma canzone…
Ho voluto intitolare l’EP “Eden” perché in tutti i brani serpeggia l’idea di un paradiso perduto d’innocenza e irresponsabilità che deve infine essere abbandonato. Curiosamente ho vissuto in prima persona quest’esigenza con l’approssimarsi dei trent’anni, ma mi è sembrato di vederla allo stesso tempo riflessa negli eventi del mondo esterno. Senz’altro la spiritualità come tensione verso qualcosa che trascenda l’io è un aspetto importante nella mia vita. Senza andare nella new age o in mondi ultraterreni, posso dire di credere in una spiritualità immanente in cui l’amore, la socialità, l’arte, la natura possono spezzare brevemente le catene dell’individualità e darci il sollievo di sentirci parte di qualcosa d’altro e di più grande di noi.