Mi sento sempre in estrema soggezione quando decido di confrontarmi con autori di spessore internazionale, temendo di non essere all’altezza di analizzare una loro opera d’arte senza in qualche modo depauperarla o strapazzarla. Oggi mi trovo addirittura davanti a due Mostri Sacri della storia dell’horror, uno scrittore, Stephen King, ed un regista, John Carpenter, tra quelli che più adoro da sempre. Coi libri di King sono cresciuta, passando notti insonni rosicchiandomi le dita sulle pagine consumate del più volte riletto It, mentre Carpenter ha dato i natali al villain per me più iconico di sempre, Michael Myers, il Male in persona, statico, completamente privo di emozioni, terrorizzante nel midollo. Ma non solo It e Halloween: penso di avere in casa quasi tutti i libri ed i film di questi due artisti dell’orrore, e quindi concentrarmi su un’opera che li vede collegati a doppio filo mi manda in estrema confusione. Peraltro stiamo parlando di un cult assoluto del 1983, e quindi il dubbio era: cosa posso mai dire io che non abbiano già detto tutti gli altri? Ma poi, considerando il mio amore viscerale per le sfide, mi sono imposta di provarci, ed eccomi qui, a confrontarmi nientemeno che con quel gioiello dell’horror mondiale che è Christine –La Macchina Infernale, diretto da John Carpenter su un soggetto originale di Stephen King trasformato in sceneggiatura da Bill Phillips.
Arnie Cunningham è un giovane imbranato che nel 1978 frequenta una delle tante high school della California, bullizzato continuamente dai capetti della scuola, e supportato soltanto dal suo amico del cuore, Dennis. Un giorno, mentre i due ragazzi tornano a casa sull’auto di Dennis, Arnie lo fa fermare bruscamente perché la sua attenzione è stata catturata da una Plymouth Fury rossa in pessime condizioni parcheggiata davanti ad una fatiscente cascina. Il ragazzo è come attratto dall’auto, ed il vecchio che la possiede gli dice che era la macchina di suo fratello che adesso è morto e lui vuole venderla perché cambia casa. Arnie acquista l’auto, che scoprirà dal vecchietto chiamarsi Christine, senza fare una piega, suscitando lo sbigottimento di Dennis e l’ira dei genitori, in quanto in pessimo stato. Tuttavia il giovane è come ipnotizzato da Christine, e comincia a lavorarci giorno e notte finchè in poco tempo, da solo, non la rimette completamente a nuovo. Nel frattempo le cose per lui sembrano migliorare: acquista fiducia in se stesso e si fidanza con la più bella ragazza della scuola, Leigh Cabot, corteggiata da tutti. Quello che parrebbe un merito da attribuire a Christine, tuttavia, molto presto diviene qualcosa di più torbido e malato, una vera e propria dipendenza che sembra legare Arnie all’auto e viceversa, un amore morboso e geloso che porterà tragiche conseguenze per tutti coloro che oseranno mettersi tra i due.
Come sempre King costruisce la sua storia tra i reietti, i perdenti, le piccole pedine all’apparenza senza importanza, e come sempre stravolge la legge naturale delle cose: di solito è l’uomo ad essere ossessionato dalle macchine, dai motori, dalla tecnologia, qui invece è proprio il contrario, quella veramente ossessionata è Christine, la cui possessività e gelosia nei confronti del suo proprietario la porta a vivere di vita propria ed a compiere azioni scellerate verso tutti coloro che pensa potrebbero mettere a rischio il suo rapporto con Arnie. Ed, in un modo o nell’altro, tutti dovranno vedersela con la sua furia, sia i bulli della scuola, il cui unico divertimento è sempre stato quello di umiliare Arnie Cunningham (che in italiano chiamano, beffeggiandolo, Cazzingam), sia anche coloro che a Arnie vogliono più bene e cercano di metterlo in guardia contro Christine, ovvero l’amico Dennis e la fidanzata Leigh. Per Christine non esistono buoni o cattivi, quello che conta è il legame di possesso che la lega a doppio filo al giovane proprietario.
Molto importante nel film il comparto sonoro, con annessi e connessi, come del resto sempre nei film di Carpenter: essendo Christine una macchina del 1957, per l’appunto una Plymouth modello Fury (Furia!), la sua radio trasmette solo ed unicamente canzoni anni Cinquanta, soprattutto di genere rock’n’roll, come uno di quei vecchi juke-box che siamo portati ad immaginarci nei localini di cui era disseminata la mitica Route 66, dove di macchine come Christine ne saranno passate a migliaia. Ma lei ha il colore della passione bruciante e del sangue, è, fortunatamente, unica nel suo genere, e per quanto bellissima e maledettamente sensuale, sarebbe da augurarsi di non incontrarla mai. Eppure Arnie alla guida di Christine, che chiama sempre dolcemente per nome, pare poter riscattare una vita mediocre fatta di vessazioni a scuola ed in famiglia, una vita nella squallida provincia americana quasi sempre predominante nei romanzi del Re, dove la banalità sonnacchiosa la fa da padrona. Christine è il fulmine a ciel sereno che risveglia Arnie da questo torpore, ma come una potente droga gli darà benefici e benessere solo di facciata, mentre ne corroderà completamente corpo ed anima, compresi i suoi pochi e sicuri affetti.
Precedentemente King aveva già trattato il tema delle macchine che si ribellano all’uomo in suo racconto breve contenuto nella raccolta del 1978 A Volte Ritornano, quel Camion da cui nel 1986 trarrà la sua unica regia, Brivido. Tuttavia il motore di fondo di queste due storie del Re è molto diverso perché in Camion si parla proprio della tecnologia in generale che si ribella all’uomo, che ne sta divenendo troppo schiavo e dipendente, mentre Christine è una vera e propria storia d’amore malata ribaltata, non più di un ragazzo verso la sua macchina, come capita spessissimo ai giovani, ma della macchina stessa verso il suo proprietario, che diverrà una miserabile marionetta nelle sue mani. Ancora una volta Amore e Morte, Eros e Thanatos, legati indissolubilmente.
Ma qui non c’è solo l’estro creativo dello scrittore del Maine, bensì anche la mano sapiente del regista newyorkese, nonché compositore ed ottimo musicista, John Carpenter. Christine arriva dopo tutta una serie di capolavori inaugurata nel 1976 con Distretto 13 – Le Brigate della Morte e proseguita negli anni a venire con Halloween – La Notte delle Streghe, Fog, 1997: Fuga da New York e La Cosa. Il tocco di classe di questo immenso artista horror è impresso come un marchio di fuoco in tutte le sequenza più di spicco di questa purtroppo sottovalutata pellicola, in special modo nelle significative e quanto mai evocative atmosfere in notturna, soprattutto nella scena in cui il bolide infuocato insegue i bulli in giro per le campagne buie e desolate.
Protagonista assoluto, insieme alla bellissima auto, è Arnie, che da giovane sfigato e sottomesso si trasforma in un feroce assassino senza scrupoli: ad interpretarlo molto molto bene troviamo l’attore newyorkese Keith Gordon, all’epoca appena ventiduenne ma che aveva già recitato in pellicole quali Lo Squalo 2 di Jeannot Szwarc e Vestito per Uccidere di Brian De Palma. Successivamente deciderà di dedicarsi anche alla regia, con discreti risultati. Al suo fianco, nel ruolo del suo migliore e forse unico amico troviamo l’attore e modello texano John Stockwell, il quale anche intraprenderà la carriera di regista regalandoci nel 2006 uno degli horror più disturbanti ed attuali degli ultimi anni, Turistas. A completare il triangolo troviamo la bella attrice Alexandra Paul, nota stella di Baywatch dal 1992 e qui al suo primo ruolo importante nel cinema: se la cava piuttosto bene nei panni della bellona della scuola sinceramente innamorata di Arnie e per questo acerrima nemica di Christine. Ed infine c’è lei, anzi, loro. Le auto. Già, perché la nostra luciferina protagonista non è una sola auto, com’è facile supporre dalle scene di distruzione che subisce nel film, a meno che non si voglia credere che sia davvero in grado di autorigenerarsi (come le dice Arnie dopo la distruzione da parte dei bulli “Dai, fammi vedere cosa sai fare!”). La macchina principale è giustamente “interpretata”, come nel libro di King, da una Plymouth Fury del 1958, ma poiché tale modello è molto raro, nella maggior parte delle scene d’azione vengono usati dei modelli affini, Belvedere o Savoy. In tutto la Plymouth offrì gratuitamente alla produzione ben 23 auto, già perfettamente preparate a seconda delle specifiche richieste.
Opera eclettica, tipica di un Cinema Anni Ottanta che tanto si rimpiange ma che purtroppo non esiste più, critica come tutto ciò che esce dalla penna del Re del Maine, divertente ed iconica anche per la strabiliante colonna sonora rock’n’roll, Christine – La Macchina Infernale è una pellicola ricordata anche per il suo finale/non finale tipico dei prodotti di quest’epoca, che propone un happy ending politically correct ma strizzando l’occhio al fatto che il Bene non potrà mai sconfiggere definitivamente il Male, come ben ci aveva suggerito Pazuzu ormai dieci anni prima. La musica uscita dallo stereo dell’operaio dello sfasciacarrozze accompagna gli occhi dello spettatore sul cubo che è ormai diventata Christine, suggerendoci che tutto potrebbe ancora succedere, perché l’uomo non potrà mai fregare il demonio, sebbene sia certo di poterlo fare. Tanto più qui, dove Dio, la Chiesa e gli Esorcismi non vengono toccati nemmeno di striscio, e ci sono solo due giovani imbranati con una grande ruspa, ma con una forza che forse davvero è l’unica in grado di distruggere il Male: quella dell’Amore.
Insieme a Duel di Steven Spielberg del 1971, a La Macchina Nera di Elliot Silverstein del 1977, ed al già citato Brivido dello stesso King del 1986, Christine – La Macchina Infernale è uno di quei film imprescindibili da vedere anche per chi non è appassionato di automobili, dove i simboli del benessere divengono in qualche modo i nostri carcerieri e i nostri torturatori. Quando si dice, un cult…
https://www.imdb.com/title/tt0085333/
Ilaria Monfardini
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