Roba da Paz! Mondospettacolo incontra Federico Rosati, protagonista di Shooting Silvio

È disponibile dal 21 Dicembre 2020 su Prime Video, distribuito da 102 Distribution, Shooting Silvio, che tanto scalpore fece ai tempi alla sua uscita al cinema nel 2007.

Abbiamo incontrato il protagonista Federico Rosati per parlare proprio di questo curioso lungometraggio che trova ora nuova vita on demand.

 

Le riprese di Shooting Silvio sono iniziate nel 2006. Come ti sei trovato coinvolto nel film?

Ero da poco arrivato a  Roma ,avevo fatto già un film che ormai è un cult, Paz!. Avevo mollato ogni cosa per trasferirmi nella città di Fellini. Iniziavo la mia carriera quando mi squillò il cellulare e dall’altra parte una voce mi disse: “Fede ti ho visto in Paz!, sei straordinario. Sulla tua scena il cinema è letteralmente esploso. Ho scritto un film per te, sarai il protagonista assoluto”. Io riconosco la voce e rispondo automaticamente davvero come se ci fossimo separati la sera prima: “Berardo, sei tu? Come hai avuto il mio numero? Fortunatamente c’erano e ci sono ancora i telefoni a casa ,quelli col filo, per intenderci. Aveva chiamato i miei e si era fatto dare il mio cellulare. Non ci sentivamo, né vedevamo da tredici anni .Eravamo andati a scuola insieme al liceo classico e a sedici anni avevamo preso un furgone senza patente per girare il suo primo cortometraggio. Io all’epoca volevo fare lo scrittore, pur amando il cinema, quindi risposi un secco “No quando mi propose già allora di essere il suo protagonista”. Per convincermi dovette prendere nel cast le mie due fidanzate dell’epoca, quella con cui ero in quel momento e la mia ex, e dovette trarre il suo corto da un mio racconto. Pensavo non avrebbe mai accettato in questo modo, invece ecco che ora mi trovo qui a rispondere alle domande di un bravo giornalista in veste di attore e non di scrittore. C’est la vie…. come è strana a volte la vita, Francesco!

 

All’epoca della sua uscita in sala, nel 2007, come venne accolto Shooting Silvio da pubblico e critica?

Quando il film uscì, fu accolto in maniera controversa. Era diventato un caso di opinione fino al momento della programmazione su Sky, che tolse il film dal palinsesto dopo un’interrogazione parlamentare durante il terremoto a L’Aquila. Vi furono persone a cui piacque molto e altre acui, invece, per niente. Venne aspramente criticato da chi dietro ci vide un’operazione politica o, addirittura, per approfittare del momento. Il tempo ha smentito costoro. Il film resta controverso senza dubbio, ma si è guadagnato il suo posticino. È sicuramente un piccolo film, dal budget limitato, ridotto, ma aveva e ha delle intuizioni secondo me. E, ormai, ha trovato casa anche lui (ride).

 

Come hai appunto appena precisato, si tratta di un film a basso budget. Come fu la lavorazione?

Il film venne accolto come una novità assoluta dal punto di vista produttivo, poichè  prima di andare sul set vi furono due anni di delirio in cui si parlava di questo progetto e, spesso, lo si vedeva come un miraggio. Finii ben sette volte nelle prime pagine dei giornali, fu la prima volta che vidi la mia faccia su un giornale. Mi fece uno stranissimo effetto, sai, sono abbastanza schivo come tipo di artista e vissi un bel momento, che ricordo con affetto. Ti dicevo, assurdo dal punto di vista produttivo perchè fu prodotto in parte con dei soldi racimolati grazie alla gente. Poichè si organizzavano feste per contribuire poi con una colletta gigante alla produzione del film. Fu un periodo assurdo, mi domandavo “Ma dove mi sta portando Carboni?”, ma lui aveva sempre tutto sotto controllo e, alla fine, ha avuto ragione. Feste, collette, la lavorazione. Fu quasi un atto puramente artistico, come una enorme istallazione. Una meravigliosa factory dove lavoravano tutti quasi gratis, per passione. Molti erano alle prime armi, si buttarono a capofitto, fu uno dei primi film ad essere girati in mini dv, con la piece techniques, e il risultato ottenuto fu sorprendente. E non ti parlo di qualità artistica, ma proprio del fatto che siamo riusciti a fare un film con niente, ottenendo poi dei risultati molto grossi, tra festival, premi e tutto il resto. Io mi sento di ringraziare da qui tutti coloro che hanno contribuito a far sì che questo film esista, e non parlo solo dei tecnici, ma di gente comune che ci ha regalato soldi e tanta tanta passione e amore. “Grazie non finirò mai di dirlo abbastanza”.

 

Hai un aneddoto particolare relativo a quell’esperienza sul set?

Sì, ho un aneddoto meraviglioso che riguarda un immenso artista. Poichè non era solo un attore, bensì un artista, poeta, pittore, musicista, scrittore e attore. Credo siano pochi in italia come lui, forse era unico. Anzi, era unico ed è stato unico al mondo, con il suo carrozzone di balocchi e follie che si portava dietro. Remo Remotti, il magnifico. Venne a girare un cameo, lo chiamai io di persona e non aveva un cellulare, ma un numero telefonico 06 che mi diede un caro amico attore. Mai avrei pensato che potesse rispondere. Dall’altra parte, invece, non solo lo fece, ma, una volta letto il copione, fu lui a voler fare questo cameo nel film. Finita la giornata, partì un applauso meraviglioso come di rito, quando un attore termina il film, poi nel suo caso fu per noi un onore immenso, infatti ricordo che si stappò anche una bottiglia. A quel punto devi sapere che in questo film tutti erano a partecipazione, dunque anche il buon Remo. Ma, siccome era ed è un grande artista, ci volle regalare un’ultima boutade delle sue. In bilico sempre tra il vero il verosimile, la fantasia, il falso. Con la sua voce stridula, acuta, gracchiante, ma, nello stesso tempo, potente, disse al regista: “Carboni, mi devi pagare adesso”. Berardo gli ricordò ingenuamente che nessuno veniva pagato, poichè i soldi del budget erano tutti stati impiegati per fare il film. Lui di tutto punto, alla sua maniera, rispose non curante: “Dammi ottanta euro. Cinquanta per una signorina e trenta per una stanza d’albergo. Ci fu una roboante risata da parte di tutti, quasi fino alle lacrime. Poi se ne andò, ma prima si voltò ancora di scatto e aggiunse: “Signori, la vera vita comincia a settantacinque anni. Vi saluto, statemi bene”. Di nuovo una grande risata da parte tutti, poi scomparve dietro la sua barba bianca, candida. Mi ha insegnato molto Remo. La sua umiltà, il suo coraggio. La sua profonda conoscenza della vita. Sono felice e mi sento fortunato di averlo conosciuto. Che grande uomo. In seguito ci rivedemmo al concerto di Paolo Zanardi, con il mio caro amico Andrea Rivera. Ma questa è un altra storia, la tengo per me (ride).

 

Per il regista Berardo Carboni hai preso parte anche ad altre opere…

Sì, dal cortometraggio di cui ti parlavo, a tutte. Anche a Vola Vola, un esperimento cinematografico d’animazione girato in Second Life dentro second life. Ho prestato la voce a sei personaggi, oltre che al mio avatar. Fino a girare l’ultimo suo film, Youtopia, che potete ora vedere su Amazon Prime; e spero di prendere parte anche a quest’ultimo che si appresta a girare ad anno nuovo. Con Berardo c’e una grossa sintonia, ci basta uno sguardo per capirci. È  una grande fortuna per un attore avere un regista così particolare e così unico e avere un rapporto come il nostro, basato prima su una profonda amicizia, poi su un legame molto forte di stima reciproca in ambito lavorativo, che ci vede collaborare insieme dai primordi.

 

Secondo te per quale motivo, a poco più di dieci anni dalla sua uscita, Shooting Silvio si è già guadagnato una sorta di status di cult?

Sono misteri. Il cinema ne è pieno zeppo. Ogni film vive di una vita propria, ma per Shooting Silvio credo che, oltre alla magia del cinema, contribuisca il come sia girato, il bianco e nero con colori che ricorda molto Sin city, che credo siamo stati i primi a farlo in italia. Penso che si avvii ad essere un cult per le sue particolarità tecniche e artistiche, per la sua estrema  provocatorietà, perchè in quel periodo divenne un punto di polemiche fino al momento in cui venne addirittura coniata l’espressione “Shooting Berlusconi”, usata come un modo di dire anche negli ambienti politici. Poi, perchè sono nati tanti gruppi su Facebook che hanno frainteso il significato del film, e io li condanno pubblicamente, oggi come allora. Li ho trovati disgustosi.

 

Recentemente, il regista Berardo Carboni ha dichiarato che, trovandoci ora in un’epoca in cui sembra di essere precipitati in un terribile racconto distopico, ripensa con malinconica empatia agli edulcorati spot natalizi in cui Silvio Berlusconi prometteva a tutti gli italiani un millennio felice e sicuro. Tu come ricordi, oggi, quel periodo?

Penso che Berardo Carboni volesse dire che siamo passati, appunto, da una fase di decadenza ad una fase decaduta, quindi dai fasti tardo imperiali dell’epoca berlusconiana a questo nuovo medio evo dell’austerity. Di conseguenza, perfino il crollo della civiltà può essere visto con rimpianto. Era un periodo molto divertente, anche se un certo cuore di cultura alta, diciamo così, fu degradato per lasciare spazio a programmi più leggeri, di cui però abbiamo goduto tutti. È innegabile. Credo che sia proprio questo il cuore del film. La condanna di questo svilimento della cultura, perchè senza cultura non si può immaginare un mondo diverso. Di questo sono più che certo. La cultura ci porta davvero ad immaginare e a vivere un mondo differente da quello che viviamo.

 

Con lo scenario politico-sociale piuttosto cambiato rispetto al 2006, vedresti possibile un sequel di Shooting Silvio?

No, non avrebbe alcun senso un sequel oggi. Secondo me, sicuramente, ora Berlusconi rappresenta la forza più moderata del centro destra e il mondo è cambiato. Anche parlare di destra e sinistra o di berlusconismo è anacronistico, oltre che sbagliato, perchè stiamo vivendo in un altro tempo, in cui la cosa più importante è costruire politiche nuove che possano in qualche modo salvarci. Un tempo che, altrimenti, rischia di essere spaventoso, apocalittico, con la distruzione della natura che si sta ribellando a certi stupri che abbiamo continuato a perpetrare e che continuiamo tuttora, senza freno.

 

 Francesco Lomuscio