ROMANZO CRIMINALE: LA SERIE

Romanzo criminale – La serie di Stefano Sollima: quando la televisione fa vero cinema e supera i botteghini. Il soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo (magistrato e scrittore) sulla Banda della Magliana (Einaudi, 2002): potentissima organizzazione criminale di Roma, fu attiva dal 1977 al 1992 e intrattenne legami con la mafia, la camorra e i poteri occulti dello Stato. Nomi e soprannomi sono cambiati, ma i riferimenti alla realtà sono chiari. La prima trasposizione cinematografia avviene nel 2004 ad opera di Michele Placido, ma è Sollima a trasformare la vicenda in un fenomeno mediatico che non si riscontrava dai tempi della Piovra. Figlio d’arte del grande Sergio, ha ereditato dal padre la capacità di unire spettacolo e impegno: le due serie, prodotte da Sky Cinema (2008 e 2010) e poi distribuite anche in dvd, presentano un taglio decisamente cinematografico e appassionante, e si rivelano superiori anche al film di Placido, pure pregevole.

La lunga vicenda ha inizio con la nascita della banda ad opera di tre delinquenti: il Libanese (Francesco Montanari), il Freddo (Vinicio Marchioni) e il Dandi (Alessandro Roja). Insieme ad alcuni fedelissimi, iniziano la scalata al potere con l’obiettivo di conquistare Roma: agendo senza scrupoli e tessendo varie alleanze, si impadroniscono di tutti i settori della criminalità, dai sequestri alle rapine, dal traffico di droga alla prostituzione. Il commissario Scialoja (Marco Bocci) intraprende una guerra personale contro la banda, ma la mancanza di prove e le protezioni in alto di cui gode l’organizzazione gli consentono di ottenere solo fallimenti o effimeri successi. La vita stessa della banda è difficile, fra tradimenti e sospetti, e con l’uccisione del Libanese inizia a sgretolarsi il loro impero. Nel corso di tutta la vicenda, le storie della banda si intrecciano con gli episodi più oscuri della Storia italiana e con le manovre dei servizi segreti.

La fluviale narrazione degli eventi è suddivisa in due serie, composte rispettivamente da 12 e 10 episodi della durata di circa 50 minuti ciascuno. Un’impresa veramente titanica, con un’accuratissima ricostruzione storica (scenografie, abiti, auto, armi) e un’ottima fotografia molto “seventies” squisitamente cinematografica (a cura di Paolo Carnera). Romanzo criminale è un film a tutti gli effetti, con l’unica differenza di essere passato non nelle sale ma in televisione. Stefano Sollima si impone così nell’olimpo dei nuovi maestri del noir/poliziesco italiano (insieme a Michele Placido, Claudio Fragasso e Michele Soavi) e riconferma il proprio talento nel 2012 con il film ACAB.

Singolare ma efficace la scelta di affidare i ruoli da protagonisti ad attori esordienti, che proprio con questa serie dimostrano la loro bravura e ottengono una meritata notorietà: Montanari, Marchioni, Roja, Bocci e anche i comprimari recitano in stato di grazia, regalando interpretazioni sanguigne e convincenti, feroci e carismatiche. Ciascuno è perfetto nel loro ruolo, dal Libanese ai numerosi caratteristi, sempre costruiti con una cura certosina. Grandissima anche Daniela Virgilio nel ruolo di Patrizia, prostituta d’alto bordo che diventa l’amante sia del Dandi che del commissario Scialoja. Fra i nomi illustri del cast figurano Marco Giallini nel ruolo del Terribile e Massimo De Francovich nei panni dell’inquietante uomo dei servizi segreti che pilota i movimenti della banda a loro insaputa. Nei caratteri a latere spicca invece Andrea Sartoretti (il Bufalo), che lavorerà di nuovo insieme a Sollima e Giallini in ACAB.

La lunghissima vicenda è narrata, idealmente, in un flashback: all’inizio del primo episodio, vediamo infatti una scena di violenza nella Roma dei nostri giorni, con un anziano che uccide alcuni teppisti a colpi di pistola, per poi urlare con rabbia e orgoglio “Io stavo col Libanese!”. Scopriremo alla fine che si tratta del Bufalo, l’unico superstite della banda, che proprio nell’ultima scena della serie sarà ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Fra questi due brevi momenti, la sapiente regia sviluppa in modo chiaro e appassionante, senza mai cedere di ritmo, la complessa sceneggiatura (scritta a più mani sulla base del romanzo di De Cataldo) e snoda una serie infinita di storie e personaggi che si intrecciano con i tragici e oscuri eventi della Storia con la S maiuscola (il sequestro di Aldo Moro, la strage di Bologna, il caso Calvi, la loggia P2). Gli avvenimenti sono naturalmente romanzati (come è logico e giusto trattandosi di un film), ma i riferimenti alla realtà sono crudamente reali: Romanzo criminale è la storia della Banda della Magliana, una delle pagine più sanguinose della cronaca italiana, è il racconto umano e criminale dei suoi membri, è il racconto di come questa enorme organizzazione ebbe contatti (mai del tutto chiariti) con la mafia, la camorra e addirittura i servizi segreti. Tutti i personaggi sono sviluppati in profondità anche dal punto di vista psicologico, così come approfondita è l’analisi delle dinamiche interne al gruppo, fra amicizia, rivalità, sospetti e tradimenti. Memorabili anche i dialoghi, che alternano sequenze in lingua italiana ad altre in dialetto romanesco, in virtù di quel realismo che Sollima vuole ottenere senza rinunciare allo spettacolo. Seppure spalmate su tempi lunghi, trattandosi di una serie televisiva, le scene d’azione sono infatti numerose e realizzate in maniera eccellente: vedasi gli scontri fra polizia e manifestanti, le imprese criminali della banda, gli agguati, l’attentato a Roberto Rosone (evento storico) e la lunga sparatoria con assedio fra il Bufalo e due rivali. Senza contare gli innumerevoli scontri corpo a corpo e le esecuzioni a sangue freddo: la violenza insomma non manca, com’è logico aspettarsi in un noir.

La storia della banda si suddivide in due fasi fondamentali, cioè prima e dopo l’uccisione del Libanese (che conclude la prima serie): è lui infatti il capo indiscusso, il collante che tiene uniti (a fatica) tanti caratteri diversi, e la sua morte sarà l’inizio della fine per i nuovi “re di Roma”. La narrazione è spettacolare ed emozionante, a tratti epica ma mai retorica: basti pensare all’attentato mortale contro il Libanese e all’uccisione “padrinesca” del Terribile (il boss rivale) montata in alternanza con la scena di un matrimonio, sulle note di Tutto il resto è noia. Proprio questa enfasi, insieme al gusto squisitamente anni Settanta/Ottanta e alle interpretazioni sanguigne, è l’elemento che rende la serie di Sollima superiore alla trasposizione cinematografica di Michele Placido (opera comunque pregevole).

Romanzo criminale – La serie è uno dei casi eclatanti in cui la colonna sonora è parte essenziale della riuscita del film. Da una parte, troviamo le musiche di Pasquale Catalano composte ad hoc per l’opera: quelle frenetiche e in puro stile poliziesco che sentiamo durante i titoli di testa e altre di più ampio respiro (quasi lirico) che dilatano il tempo dell’azione rendendo più enfatica l’attesa. Dall’altra, c’è una lunga serie di brani di repertorio: canzoni d’epoca che, con un gusto estetico sempre azzeccato (spesso anche volutamente contrastante), accompagnano quanto accade sullo schermo creando un clima di forte impatto emotivo. Oltre alla suddetta Tutto il resto è noia, numerosi altri sono i pezzi che sentiamo: Liberi liberi (che accompagna la morte del Bufalo in una scena molto poetica, mentre “rivede” i suoi vecchi compagni di scorribande), Figli delle stelle, Gianna, Cuccurucu Paloma, Enola Gay e molti altri ancora immergono lo spettatore nell’atmosfera di quegli anni.

Davide Comotti