Torna con una ballata spoglia e intensa, già apparsa in “Roots” ma ora ripubblicata per darle il giusto respiro. Roy Zappia affida alla slide e alla voce nuda un brano nato da un sogno e cresciuto nella fame di senso, tra desiderio, resistenza e autenticità.

Come nasce un brano come ‘My dreams are thoughts about you’? Hai davvero sognato ciò che hai poi trasformato in musica?
Nella fattispecie My dreams are thoughts about you è una canzone nata da un sogno, letteralmente. Ricordo che stavo vivendo un momento particolare, quasi emotivamente distopico, dove l’aspetto interiore si spiegava e veniva affrontato durante la non coscienza dell’attività onirica, mentre celato nella quotidianità. Dunque, ho voluto fissare su nastro il modo in cui le visioni notturne a volte parlano più forte della realtà.
Dal punto di vista compositivo, invece, ogni brano nasce da una linea musicale eseguita alla chitarra su cui gradualmente si evolve la melodia vocale deputata al testo.
In un’epoca dominata dall’elettronica, quanto è importante per te mantenere viva la dimensione acustica e viscerale?
Penso che sia l’intenzione che si vuole dare al brano ad essere decisiva. Non nascondo che, nonostante preferisca il nudo e crudo senza orpelli, infatti il brano è eseguito in acustico con voce, chitarra acustica e slide, rispecchiando un po’ di più a livello stilistico quello che è il blues delle origini munito di bottleneck e tanto tanto dolore, non mi dispiace affatto l’utilizzo dell’elettronica per creare effetti di ambiente che fungono da tappeto alla parte strumentale. Purché tutto sia sempre contestuale alla canzone.
Hai dichiarato che questo brano è ‘un pezzo di te che torna a galla’: cosa ti ha spinto a riportarlo alla luce proprio ora?
L’ho scritta pensando alla fame, alla tenacia che ognuno dovrebbe avere nel rincorrere qualcosa, anche quando sembra impossibile da afferrare. Per cui è sempre attuale: un desiderio, un obiettivo, o un pensiero costante lo possiamo avere tutti. Inoltre il tutto è stato pubblicato durante la pandemia, dunque a livello promozionale, per ovvie ragioni, non ha avuto il giusto risalto. Ho avvertito l’esigenza di darle il dovuto rispetto, il dovuto respiro, scevro da qualsivoglia strategie di marketing o di moda.
Il sogno nella tua musica è solo un simbolo o ha una funzione concreta nella tua scrittura?
Trovo che il sogno abbia un fascino particolare, in questo frangente si è più puri e si dipanano le passioni e i desideri più reconditi, quasi come un riflesso davanti allo specchio, solo che anziché l’immagine esteriore, ciò che emerge è l’interiorità. Il tutto poi si sviluppa nella realtà, mettendola nero su bianco con tanto di musica a supporto.
Quanto contano ancora, oggi, le radici nella costruzione di una carriera musicale solida?
Le radici sono fondamentali, permettono di essere ben saldi al terreno e solidi nella crescita. Ovviamente siamo sempre in continua evoluzione, ma mai tralasciare da dove si viene, il percorso fatto. Purtroppo spesso si pensa solo alla meta, dimenticandosi di tutto il resto. Un mio caro professore universitario diceva “non posso fare altro che come sono fatto”, e sostanzialmente lo trovo molto reale e veritiero, oltre che coerente con il sé che si relaziona all’ambiente circostante. Mi rendo conto che si tratta di una visione lontana da determinati parametri di mercato o di business. Tutto ci su cui faccio affidamento è la coerenza verso me stesso, senza raccontarmi e, soprattutto, raccontare agli altri favolette per ostentazione o per essere mainstream.
C’è un’immagine o un dettaglio del testo che credi possa sfuggire all’ascolto distratto, ma che per te è fondamentale?
Dal punto di vista musicale penso all’incedere del brano, il groove del riff di chitarra. Invece per quanto riguarda il testo penso che sia tutta una metafora a cui ognuno ascoltando attentamente può dare il proprio significato e la propria interpretazione.
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