Russo Amorale: la società delle “Europe”

Quanta bellezza dentro questo primo full lenght di Ugo Russo che si presenta a noi con un moniker che lascia sensazioni agrodolci, in bilico tra la ruggine e il romanticismo: RUSSO AMORALE. Si intitola “Europe” questo suo primo disco pubblicato da Esagono Dischi che vede la produzione artistica di Stefano Riccò. Un disco di terra desertica e di rivalsa sociale, un disco di speranza popolare e di una condivisione che non vuole avere ragione e geografia ma che in qualche modo, dentro liriche dal gustoso peso poetico, cerca quel ritrovarsi comune, quel certo “comunismo” etico che inevitabilmente mi rimanda ai “centri sociali” di una stagione che in molti rimpiangono. Ma non siamo dentro la canzone politica – per quanto qui la “politica” entra in tono romantici fuori da bandiere e schieramenti dell’attualità. Non è un disco di questo genere… tutt’altro: trovo che sia un gran disco d’amore. Siamo dentro fotografie acustiche dai toni folk americani senza precludersi i richiami alla canzone d’autore anni ’60, un po’ francese, decisamente bohémien. Siamo dentro le righe di un disco in cui la bellezza è amore per la vita e per le infinite connessioni che l’uomo produce nel continuo rapportarsi verso se stessi e verso la terra che lo accoglie.

Noi generalmente iniziamo sempre parlando di bellezza. E non solo parlando di quella bellezza sfacciata da mostrare in copertina. Anzi… per Russo Amorale cos’è la bellezza?
Beh, questa è una domanda da tema di filosofia…! Per non rispondere una cosa banale, ti direi che per Russo Amorale la bellezza sta nell’ambiguità. Sono sempre stato affascinato dalle situazioni sbilenche, paradossali, misteriose. Per quanto riguarda la musica cantata, mi piacciono i testi che nella loro narrazioni riescono ad inserire elementi sorprendenti e fuorvianti.
Allo stesso tempo (e questo potrà sembrare paradossale, appunto), nei miei testi mi piace tessere una specie di rete di rimandi segreti tra le varie canzoni: parole, e immagini che si rispondono…Trattasi forse di onanismo intellettuale ma ti dirò, alcuni ascoltatori sono riusciti a decifrare questa trama di riferimenti e « private jokes » e mi fa molto piacere.

E in definitiva quanto questa sia importante e contribuisca alla realizzazione finale?
Nel mio album c’è del blues cantato in inglese, delle ballate folk in francese, del rock italiano… Con tutti questi input variegati la nostra sfida è stata quella di dare una forma compiuta al lavoro, di creare un vero e proprio album organico. Mi hanno dato una grande mano il mio produttore Stefano Riccò e gli amici dello studio Esagono, di sicuro. Volevamo creare un immaginario che fosse in grado di dispiegarsi lungo i brani.

Estetica e contenuto… questo disco bada moltissimo ad entrambi gli aspetti. Come hai trovato l’equilibrio giusto?
C’è un detto in francese, « la forma è la sostanza che viene a galla ». Le due cose sono molto legate, in realtà. Credo che l’equilibrio possa trovarsi lavorando sulla sottrazione più che sull’addizione, cioè il ben noto « less is more ». Nel mio album, lo strumento principale è la voce, poi viene tutto il resto: spesso e volentieri ci siamo resi conto che le canzoni funzionavano meglio togliendo elementi e sfoltendo gli arrangiamenti. Un momento di grande conferma ci è arrivato quando Massimo Zamboni è venuto a dare un ascolto ai nostri pre-mix in studio: « Sì, mi raccomando, la voce sempre davanti…! »

A proposito di estetica… mi pare che tu abbia cercato molto l’ispirazione oltre i confini italiani non è così?
Beh sì, c’è un motivo biografico: sono nato e cresciuto in Francia. Pur essendo di origini italiane, ho dei riferimenti culturali sicuramente diversi che magari si ritrovano nelle mie canzoni. È anche vero che in questo album « Europe » c’è molta « America ». Non c’è nulla da fare, le mie radici musicali vengono in parte da lì… e ritorniamo quindi all’ambiguità a cui accennavo prima.

E restando sul tema, se dovessi scegliere: Francia o America?
Francia, di sicuro. Ma forse ho già trovato la mia America qui a Bologna e in Emilia-Romagna.

“Europe”… anche per voler dire che dovremmo tornare a parlare più dei singoli che della massa?
Dall’estetica alla politica, eh…? Io credo che bisogni ripartire dalle massi, invece. Il motto degli anni ’70 « partire dai propri bisogni » è stato spesso interpretato male, non è affatto una rivendicazione individualista. Insomma, « il pubblico è il privato che viene a galla »!