S.O.S. gatto: felini e contenti?

L’empatia relazionale consente agli affiatati registi Rob Fruchtman e Steve Lawrence di congiungere nel documentario S.O.S. gatto, distribuito da Wanted Cinema in Tvod a partire dal 17 Febbraio 2021, la natura asciutta dell’antiretorica, che prende piede grazie all’egemonia della de-drammatizzazione sull’enfasi di maniera, con l’icasticità di certi spunti colti dal vero in grado di trarre linfa dalla bellezza del silenzio. Priva di sbavature patetiche.

Il precipuo carattere morale dell’ispirazione, connessa al contatto diretto nell’ambito della tutela degli amici felini, costretti spesso a combattere per la sopravvivenza affrontando l’empietà di chi afferma il proprio vile predominio ed esercita l’ormai diffusa pratica dell’algido distacco ai danni delle creature più labili, riesce a sopperire ad alcune rigide norme esplicative a corto d’ingegno sulla scorta del considerevole calore antropico.

Rinvenibile sin dall’incipit nel pedinamento d’ascendenza zavattiniana che riesce ad appaiare la schietta autenticità degli slanci d’affetto di Latonya Walker, detta Sassee, al denso rapporto tra habitat ed esseri umani. Quello con le bestioline da difendere e accudire sarebbe caduto nelle secche dell’infeconda ridondanza espressiva, aliena allo scandaglio interiore ad appannaggio della linearità dello spirito, se lo schietto supporto della geografia emozionale non avesse sottratto l’aura contemplativa ai tediosi stilemi dell’ennesima opera d’impegno civile. Lontana invece dalla noia di piombo dei vani pistolotti edificanti, che in mancanza di un montaggio capace di garantire forza significante all’estrema frammentazione dell’intreccio a mosaico sostituisce di norma l’opportuno complemento visivo alla linguacciuta propaganda delle caritatevoli intenzioni con accorati appelli a sostegno dei soggetti svantaggiati, l’intensa leggerezza dell’ordine naturale delle cose tocca da vicino problematiche degne di rilievo.

L’effigie di Coney Island, a Brooklyn, antepone alla cornice cartolinesca delle banalità scintillanti l’immediato risalto conferito ai vicoli, ai cantucci, ai giardinetti, alle zone d’ombra, dove l’angelo della strada compensa l’assenza sul territorio della Società Americana per la Prevenzione della Crudeltà verso gli Animali. Mentre il valore terapeutico dell’umorismo si va ad amalgamare alla componente gioconda del citazionismo, con l’esplicito riferimento a Gli uccelli di Alfred Hitchcock, l’intrinseco viaggio di scoperta costeggia qua e là il crepuscolarismo che, al posto dell’atavica lotta del bene contro il male, privilegia i semitoni dimessi. Palesando, anziché l’ampio margine d’enigma utilizzato dagli autori dei thriller per tenere gli spettatori sui carboni ardenti, l’amore per i gatti con l’apprezzabile intarsio d’ironia ed eterea mestizia di passaggio. A prenderne il posto provvede prontamente l’interazione d’interni ed esterni.  Così la psicosi, seppur in filigrana, dell’inquietudine per la sorte dei mici dallo sguardo ipnotico, catturato dalle solerti inquadrature ravvicinate, cede spazio al nerbo di sintesi degli elementi ambientali.

Ivi compresi i corridoi degli ambulatori veterinari disposti ad accordare il sacrosanto sconto ai solerti soccorritori. Che addomesticano l’indole ormai sovente selvatica della colonia felina che a Borough Park lotta fra l’acre istinto di conservazione e la tenera chimera di salvezza. Lo stile secco ed eminentemente concreto connesso alla macchina da presa cattura l’eloquenza degli sguardi nei pertugi delle malinconiche gabbiette e assicura al controcanto sereno del sottobosco benefico l’incrociarsi di occhiate cariche di legittima speranza. Gli spunti di riflessione offerti dal catalogo di profondi comportamenti, gesti, linguaggi sublimali, al di là della convenzionale colonna sonora utilizzata per provare a convertire i convincenti stridori in inattendibili corrispondenze, vanno ben oltre l’arcinota abilità di confezione di qualsivoglia concertato realistico. Nel gioco d’impacci, nei vincoli di suolo, nei voluti scompensi di ritmo risiede la fragranza dell’esistenza. Vincerne la complessità con l’immediatezza dell’apologo sincero che non sa mai di predicatorio, né di astratto, è un merito non da poco. S.O.S. gatto taglia perciò a buon diritto il traguardo dell’intelligenza e scalda i cuori intirizziti, come i marciapiedi coperti di neve della Grande Mela, tenendo legati alla poltrona persino i glaciali seguaci dell’horror. Miracoli dell’amor vitae.

 

 

Massimiliano Serriello